Open Arms, la Procura chiede 6 anni di carcere per Matteo Salvini: “Diritti umani violati”
Sei anni di carcere: è questa la richiesta di pena per Matteo Salvini, formulata dal pubblico ministero Calogero Ferrara al termine della sua requisitoria finale nel processo Open Arms. Una richiesta che per la procura è coerente con le accuse mosse all’allora ministro dell’Interno del governo Conte, che deve rispondere di sequestro di persona e rifiuto d'atti d'ufficio per aver ritardato lo sbarco di 147 migranti a bordo della nave Open Arms nell'agosto del 2019. Come vi abbiamo raccontato in diversi approfondimenti, il processo riguarda la decisione del leader della Lega di non concedere il place of safety alla nave dell’ONG, che aveva operato quattro diversi interventi SAR (Search and rescue) nei primi giorni del mese di agosto. Un contenzioso che era terminato solo grazie all’intervento della procura di Agrigento, che aveva sequestrato l’imbarcazione e disposto lo sgombero di tutte le persone a bordo.
Nella sua requisitoria, il pm Ferrara ha elencato in punta di diritto le ragioni per cui chiede la condanna dell’allora titolare del Viminale, ribadendo alcuni principi chiave del soccorso in mare: “La persona in mare è da salvare, in tal senso è irrilevante la sua classificazione: migrante, componente di un equipaggio oppure passeggero. Per il diritto internazionale anche un trafficante di essere umani o un terrorista va salvato, la giustizia farà il suo corso successivamente, se è il caso. Le Nazioni Unite hanno stabilito che la rotta del mediterraneo centrale è la più pericolosa del mondo, chiedendo collaborazione nelle operazioni di ricerca e salvataggio e mettendo come prioritaria proprio la tutela della vita dei naufraghi”. Poi ha continuato: “Anche una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che soltanto la terraferma corrisponde alla definizione di POS, porto sicuro, dunque il salvataggio non può considerarsi compiuto se le persone sono ancora a bordo della nave. Una nave in balìa delle onde non è un posto sicuro […] Va anche detto che non tutti i Paesi possono essere considerati un porto sicuro, perché non in tutti vigono le regole democratiche e il rispetto dei diritti umani. La Libia e la Tunisia non sono Paesi in cui si può applicare il concetto di POS. Lo dice anche l'attuale ministro degli Interni Matteo Piantedosi che nella sua testimonianza ha riferito che i centri in Libia sono sicuramente centri illegali”. Un concetto che ribadirà anche in chiusura: "C'è un principio chiave e che non è discutibile: tra i diritti umani e la protezione della sovranità dello Stato sono i diritti umani che nel nostro ordinamento, per fortuna democratico, devono prevalere".
Nello specifico, per il pm il nostro governo “aveva l’obbligo di rilasciare il POS” perché in quel momento i migranti erano “sotto il controllo dello Stato”. In particolare, la procura sostiene di aver riscontrato numerose violazioni del diritto internazionale anche in relazione alla gestione dei migranti minorenni. E non vi sono dubbi sulle responsabilità di Salvini che “quando diventò ministro dell’Interno, le decisioni sulla gestione degli sbarchi e del rilascio dei POS vennnero spostate dal Dipartimento libertà civili e immigrazione all'ufficio di gabinetto del ministro. È questo l’elemento chiave. Ce lo confermano gli ex ministri Trenta, Di Maio, Lamorgese, l'ex premier Conte, persino il ministro Piantedosi, seppur cercando di annacquare l'obbligo, che la responsabilità di emettere il Place of Safety era del ministro Salvini”.
Prima c’era stato l’affondo della procuratrice aggiunta Sabella: “Non si può invocare la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare, perché i diritti dell’uomo vengono prima della difesa dei confini […] L’innalzamento dei confini non limita i morti, ma consente solo di non vederli. […] Il governo Conte nel suo contratto prevedeva di sensibilizzare l’Europa per ottenere un’equa distribuzione dei migranti. E il ministro Salvini ha ritenuto di poter squilibrare l'unità di misura dei beni giuridici in questione, in favore dei porti chiusi, quale strumento di pressione sugli stati membri”. E, in chiusura di requisitoria, aveva aggiunto: "Il ministro Salvini aveva l'obbligo o no di dare il pos alla nave? Su questa domanda verte il processo. Per le norme del mare la risposta è scontata, ovvero sì aveva l'obbligo di dare terra ai naufraghi". Quanto al rischio che a bordo vi fossero dei terroristi, ripeteva: "Si trattava di una valutazione del tutto infondata".
La replica del ministro dei Trasporti Matteo Salvini
Il leader della Lega, che non era presente all'udienza, ha replicato a stretto giro alle accuse dei pm: "Rifarei tutto, la difesa dei confini non è reato, sul blocco degli sbarchi ho mantenuto la parola data agli elettori. Ora rischio il carcere perché la sinistra ha voluto vendicarsi". E la sua legale, Giulia Bongiorno, ha sostenuto che i pm abbiano processato "la linea politica di un governo", contestando la tesi della procura secondo cui l'intero processo riguardi atti amministrativi e non politici. Nel merito, l'avvocata ha ribadito che il suo assistito ha adottato "tutte le misure" necessarie alla tutela dei migranti.
Poi sui social ha rincarato la dose: "Mai nessun governo e mai nessun ministro nella storia è stato messo sotto accusa e processato per aver difeso i confini del proprio Paese. L'articolo 52 della costituzione italiana recita che la difesa della patria è un sacro dovere del cittadino. Mi dichiaro colpevole di aver difeso l'Italia e gli italiani, mi dichiaro colpevole di aver mantenuto la parola data".