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Ogni Faraone ha la sua piramide. Noi invece il ponte sullo stretto di Messina

Il Ponte di Messina è diventato il feticcio da sventolare, buono per ogni stagione. Partendo dal primo onorevole che nel 1897 ne parlò alla Camera, passando da Mussolini, Craxi e Berlusconi è diventato un mantra da cui nemmeno Renzi sembra capace di liberarsi. Gli antichi imperatori egiziani costruivano piramidi sempre più alte per passare alla storia; qui da noi si continua a sventolare sempre lo stesso ponte. Mai costruito.
A cura di Giulio Cavalli
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Io davvero mi sforzo di capire se sia un riflesso incondizionato, qualcosa come il ginocchio con il martelletto del dottore e la gamba che ti tira di conseguenza: questa mania di tornare ciclicamente sulla costruzione del ponte di Messina deve avere delle radici profonde, antropologiche che non si riescono a studiare mai abbastanza a fondo. «Sicuramente il Ponte sullo Stretto verrà fatto prima o poi. L'importante è che prima portiamo a casa i risultati di opere incompiute perché qui ci son solo quelli che pensano di arrivare e portare a casa progetti faraonici»: ha parlato così Matteo Renzi intervistato dall'emittente radiofonica Isoradio con una sicumera netta. Sicuramente si farà, quindi, anche se perfino Renzi ha pensato bene di aggiungerci un pelo di preoccupazione per tutte le opere incompiute. Deve essere sembrato troppo anche a lui, in effetti.

Eppure c'è qualcosa di ormai mitologico sulla costruzione di un ponte che sarebbe, tanto per dare un'idea, lungo 3666 metri di cui 3300 sospesi per aria; parliamo di più del doppio dell'attuale ponte più lungo del mondo l’Akashi Kaikyo giapponese. Era il 1897 quando l'onorevole Zanardelli pronunciò un sentito discorso alla Camera lasciandosi andare alla poesia: «sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente» declamò e nonostante l'epico sforzo li progetto rimase carta morta. Solo con l'Italia nel pieno della seconda guerra mondiale ci pensò bene Mussolini a tornare sul progetto quando in piazza Venezia promise di gettare un ponte sullo stretto dopo la vittoria della guerra. Verrebbe da dubitare forse che il Duce utilizzò il ponte come zuccherino per indorare la pillola della guerra. E nel 1956, pieno dopoguerra e all'inizio del boom economico italiano, circola nel Paese una cartolina in cui si parla di «Ponte sullo Stretto progettato dall'ingegner Mario Palmieri, italoamericano».

Sfogliando la storia insomma si può intuire quanto bastasse lo sventolio dell'idea del ponte per evocare futuri scenari di abbondanza, ricchezza e operosità. Ma perché Renzi oggi ne parla? Perché non ci si riesce a liberare da un'opera che è diventata un tic? Bettino Craxi sapeva che il Ponte di Messina avrebbe potuto essere un grande affare per le imprese coinvolte e aveva capito bene che la proprio stabilità politica fosse direttamente ancorata al numero di grandi commesse che il governo era in grado di offrire. Per Craxi il ponte fu la carota per far correre più veloce il cavallo. Silvio Berlusconi (o meglio, la storia giudiziaria di questo Paese ci dice sicuramente Marcello Dell'Utri) aveva il ponte come garanzia di attenzione ad una Sicilia (anche nelle sue componenti meno legali) a cui erano state fatte precise promesse. Per Silvio il Ponte era "il pagherò" in mano ai suoi creditori.

Ma perché Matteo Renzi ha bisogno di tenere in piedi un sogno che è diventato patetico per la continua ripetizione nel corso degli anni? Qualcuno dice che sarebbe una mezza promessa che al suo ministro Alfano che, sul ponte, ha costruito molta della sua retorica elettorale ma sinceramente sembra possibile che il governo si sbilanci così tanto per così poco. Altri in realtà insinuano che il ponte di Messina serva comunque a giustificare opere immense su cui non tutti sono pronto a giurare (l'impatto del TAV, ad esempio, nell'economia reale). Qualcuno, ma sono i più cattivi, ricorda che questo governo è lo stesso che ha partorito il "treno Boschi", un frecciarossa che piuttosto che Bologna o Firenze sembra non riuscire a non fermarsi ad Arezzo (città della ministra Boschi) e da Reggio Emilia (la città del ministro Delrio). Ma forse questo è solo veleno, forse. Resta il fatto che i faraoni volessero una piramide sempre più grande, sempre più regale e ricca per essere ricordati nella storia. Qui invece ci siamo ridotti al Ponte di Messina. Nemmeno costruito. Solo fatto annusare.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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