Ocean Viking, il racconto del medico volontario a bordo
Oggi è l'undicesimo giorno in mare per l'equipaggio per i 356 naufraghi che sono stati salvati dalla nave delle ong Sos Mediterranee e Medici Senza Frontiere, la Ocean Viking. I migranti sono stati recuperati in diverse operazioni, dal 9 al 12 agosto. Il 13 la nave si è rivolta alle autorità italiane e maltesi, chiedendo di prendere il coordinamento: Malta ha rifiutato, l'Italia non ha mai risposto.
Ieri l'Ue ha lanciato un appello, chiedendo una soluzione immediata: la nave si trova nelle acque internazionali tra Malta e Lampedusa, in attesa dell'indicazione di un porto sicuro per lo sbarco. A bordo ci sono 103 bambini o minori sotto i 18 anni, la maggior parte sono non accompagnati.
Il medico volontario Luca Pigozzi, di MSF, ha raccontato quello che sta succedendo sulla nave, dove le persone sono allo stremo delle forze. Come ha riportato nella sua testimonianza, le persone soccorse, al momento del salvataggio si trovavano su imbarcazioni precarie, senza dormire, senza acqua o cibo. Quando sono saliti a bordo della Ocean Viking i migranti erano disidratati, soffrivano di vertigini, ipotermia e avevano ustioni causate dal carburante dello scafo o dal sole. In genere, ha spiegato Pigozzi "dopo le prime 24 ore, iniziano a riprendersi da questi sintomi iniziali. Oggi il nostro lavoro nella clinica di bordo si concentra sulle infezioni cutanee o delle vie respiratorie, le condizioni più comuni. Ma curiamo anche feriti di guerra – persone di nazionalità libica con schegge di granate a livello sottocutaneo – o adulti con patologie croniche come il diabete. Stiamo cercando di mantenere stabili le loro condizioni. A oggi abbiamo effettuato 130 visite mediche e 63 medicazioni di ferite. Facciamo del nostro meglio, ma siamo consapevoli che alcuni pazienti sarebbero curati meglio a terra".
Ma ora la vera emergenza è soprattutto psicologica: "Queste persone hanno subito e stanno subendo traumi importanti. In molti hanno subito torture o violenze sessuali in Libia. Oggi l’attesa dello sbarco, consumata in uno spazio confinato in mezzo al mare, non può che peggiorare le loro condizioni". I naufraghi non sono nemmeno più abituati ad avere qualcuno che li ascolti, e per questo scoppiano improvvisamente in lacrime non appena vengono accolti nella clinica.
"La maggior parte dei minori a bordo non ha mai vissuto in un luogo sicuro, non sa cosa voglia dire giocare senza correre alcun rischio. Vivono nell’ansia e nell’incertezza, a volte abbiamo l’impressione che per loro questo stile di vita sia diventato ‘normale'. Ma normale non è", ha spiegato il medico volontario.