Dpcm ottobre, in smart working almeno il 50% dei dipendenti della Pa che possono lavorare da casa
Con il nuovo dpcm l'intenzione del governo è quella di rafforzare lo smart working, anche per per diminuire la pressione sui mezzi pubblici, sui quali in teoria dovrebbero salire solo l'80% dei passeggeri, ma sui quali nei fatti viaggiano più persone, soprattutto da quando sono ricominciate le scuole.
"Quello del trasporto pubblico urbano è un tema vero: oggi c'è una riunione tra tutti gli assessori regionali ai Trasporti e i ministri competenti. Noi verificheremo le situazioni e le condizioni, al momento la mia opinione è che dobbiamo provare a lavorare soprattutto su due ambiti: favorire la possibilità di un rafforzamento dello smart working, che può essere ulteriormente implementata e utilizzata in questa fase; e provare ad incentivare e rafforzare ancora di più le differenziazioni di accesso e ingresso negli uffici pubblici e nelle scuole", ha detto il ministro della Salute Roberto Speranza, durante un'audizione alla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza.
"Partirei da queste due strade – ha precisato il ministro – provando a non entrare immediatamente nelle questioni che riguardano la scuola, che è considerata dal governo una priorità assoluta. Tutto ciò che si può mettere in campo per affrontare il tema legittimo dei trasporti va fatto partendo da altro rispetto alla scuola. Poi chiaramente l'evoluzione epidemiologica chiederà valutazioni in corso settimana dopo settimana", ha spiegato, riferendosi al fatto che alcune Regioni, su spinta soprattutto del presidente del Veneto Luca Zaia, hanno chiesto di reintrodurre la didattica a distanza almeno per le superiori. Ipotesi che il governo, tramite la ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina, ha scartato.
Come cambia lo smart working
Secondo il nuovo dpcm, in vigore da oggi, il lavoro agile per i dipendenti della Pubblica amministrazione deve essere ripristinato "almeno" per il 50 per cento di coloro che possono svolgere la loro attività da remoto. Per tutte le altre attività professionali, quindi anche per aziende private, il governo si è limitato a raccomandare il ricorso allo smart working. Si era valutata concretamente la possibilità di passare al 70% di lavoro agile nella Pa. Al terzo comma del terzo articolo, infatti, si legge che "nelle pubbliche amministrazioni" viene "incentivato il lavoro agile con le modalità stabilite da uno o più decreti del ministro della Pubblica amministrazione, garantendo almeno la percentuale" contenuta all'articolo 263 del decreto 34 del 19 maggio scorso, cioè il dl Rilancio. Nel provvedimento citato veniva specificato che gli uffici pubblici dovessero organizzare "il lavoro dei propri dipendenti e l'erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell'orario di lavoro, rivedendone l'articolazione giornaliera e settimanale […] applicando il lavoro agile al 50 per cento del personale impiegato nelle attività che possono essere svolte in tale modalità". La novità è rappresentata dall'"almeno" che lascia spazio a un ampliamento della norma.
Sempre nel dpcm si legge che alle attività professionali si raccomanda che "siano attuate anche mediante modalità di lavoro agile, ove possano essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza"; "siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva"; "siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale"; "siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine gli ammortizzatori sociali".
Secondo il segretario della Cgil, Maurizio Landini però dovrebbe essere "compito dei contratti nazionali occuparsi ed affrontare il tema ‘smart working', ed è una delle richieste che stiamo portando avanti in tutti i tavoli delle trattative". Materia dello smart working che, per Landini quindi, "non va regolata semplicemente per legge ma nei contratti nazionali di lavoro. Anche perché – ha aggiunto – la novità è il fatto che è la stessa persona che si troverà a dover lavorare in presenza e a distanza. È lo stesso lavoratore che dovrà acquisire le competenze per lavorare in entrambe le modalità, pertanto è necessario che queste persone abbiano gli stessi diritti e tutele sia quando lavorano a distanza sia in presenza".
Quanti saranno i lavoratori in smart working
Cine riporta ‘la Repubblica', secondo i calcoli dei sindacati alla vigilia del dpcm, su 3,2 milioni di lavoratori pubblici ci sono 1,2 milioni lavoratori nell'istruzione e nella ricerca, mentre 648.000 sono impegnati nella sanità e oltre 500.000 sono le forze armate e gli altri dipendenti con un contratto di diritto pubblico. In pratica possono essere messi in smart working i lavoratori delle funzioni centrali come quelli dei ministeri (circa 234.000) e una parte di quelli degli enti locali (circa 512.000 nel complesso), oltre a una parte residuale degli altri comparti. "Non si può fare una stima precisa – spiegava il segretario nazionale della Fp-Cgil Florindo Oliviero – ma credo che non oltre 400-500.000 possano essere messi in smart. Chiediamo comunque un'interlocuzione per decidere quali sono le attività che si possono ricondurre allo smart working".