“Il dovere della memoria riguarda tutti”, dice Mario Draghi mentre visita il museo storico della Liberazione di Roma, in quello stesso edificio di via Torquato Tasso in cui i nazifascisti incarceravano, torturavano e poi fucilavano chi fosse anche solo sospettato di simpatie partigiane. Lo fa il 25 aprile del 2021, da Presidente del Consiglio di un governo sostenuto da quasi tutti, con l’eccezione della destra di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni. Ma sbaglieremmo, se in quelle parole si vedesse solamente il solito richiamo alla pacificazione nazionale di fronte alla lacerazione dell’occupazione nazi-fascista, alla guerra civile, all’onore da concedere agli italiani che combatterono sul fronte della Repubblica Sociale Italiana.
No, nelle parole di Mario Draghi e nel suo richiamo a una memoria condivisa c’è una linea di demarcazione ben precisa tra chi stava dalla parte giusta della Storia e chi stava dalla parte sbagliata. “Non tutti fummo brava gente”, ha detto Draghi. Ed è “immorale non scegliere” da che parte stare, e fare della guerra civile italiana un indistinto in cui onorare tutte le vittime allo stesso modo. Ancora: “Constatiamo inoltre, con preoccupazione, l’appannarsi dei confini che la Storia ha tracciato tra democrazie e regimi autoritari, qualche volta persino tra vittime e carnefici”.
Prenda appunti Giorgia Meloni, che oggi plaude ai partigiani che liberarono il Paese, ma che poco più di un anno fa ha presenziato all’inaugurazione di un circolo di Fratelli d’Italia a Salò, intitolato alla memoria del repubblichino Giorgio Almirante, uno di quei ragazzi che combatteva contro chi voleva liberare l'Italia. E prenda appunti pure Matteo Salvini, che il governo Draghi lo sostiene, che pure lui oggi plaude al sacrificio dei partigiani, ma che fino a ieri non mancava mai di ricordare, in prossimità del 25 aprile, che a suo dire la giornata della liberazione dal nazifascismo avrebbe dovuto essere “la giornata dell’unione e della pacificazione nel nome dell’Italia che verrà” in cui “ognuno si tiene le proprie idee, distanze, e obiettivi”. Questo disse un paio di anni fa a Corleone, in Sicilia, da ministro degli interni del governo italiano. Chissà se oggi la pensa ancora così.
E già che ci siamo Salvini e Meloni, stampatevi nella testa pure quest’altro passaggio di Mario Draghi: “Vediamo crescere il fascino perverso di autocrati e persecutori delle libertà civili, soprattutto quando si tratta di alimentare pregiudizi contro le minoranze etniche e religiose”, ha detto il Presidente del Consiglio. Ogni riferimento è voluto, pur senza mai nominarli, al “dittatore” Recep Tayyip Erdogan, all’autocrate Vladimir Putin e pure al regime cinese di Xi Jinping che brutalizza le minoranze uigura e tibetana nel silenzio complice del resto del mondo. Parole da girare immediatamente a chi dipinge Mosca come il nuovo modello da seguire, ma anche a chi loda l’efficenza cinese o a chi stringe accordi con il sultano di Istanbul. E no, in questo caso a prendere appunti dovrebbero essere altri, non Meloni e Salvini. Non solo, perlomeno.