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Opinioni

Non sottovalutate Matteo Salvini, la Lega è ancora sua

Quella che si è abbattuta in questi mesi sul leader della Lega Matteo Salvini è la tempesta perfetta: il crollo nei sondaggi, la ridotta agibilità politica (causa pax draghiana), le disavventure di Luca Morisi, le polemiche interne e ora la batosta senza appello alle elezioni amministrative. È però presto per decretare la sua fine politica, la Lega è ancora cosa sua. E forse anche il centrodestra.
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Nell’agosto del 2019 quasi tutti gli analisti erano concordi nel parlare del tentativo di Matteo Salvini di far cadere Giuseppe Conte e tornare immediatamente al voto come di un “suicidio politico”. Una valutazione che sembrerebbe confermata dallo stato attuale delle cose: la Lega è in costante calo nei sondaggi, Giorgia Meloni ha drenato consensi ed elettori, all’interno del partito si sono rafforzate correnti e personalità non proprio allineate, la sua comunicazione sui social ha perso incisività e brillantezza (e il caso Morisi c’entra solo in parte), Salvini stesso appare sempre meno centrale nel dibattito pubblico. La batosta delle elezioni amministrative è un ulteriore colpo alla sua credibilità come leader e rafforza la posizione di quanti, all’interno del partito e della coalizione, stanno pensando sul serio di “cambiare cavallo”, immaginando una Lega senza Salvini, magari sotto la guida di uno dei governatori usciti mediaticamente meglio dalla sfida della pandemia, Zaia o Fedriga.

Eppure, c'è anche un'altra lettura possibile. In tempi di consenso debole e volatile, con leader bruciati nel breve volgere di qualche anno o addirittura mesi, Salvini aveva la necessità di capitalizzare il proprio consenso, mettendo pressione tanto agli alleati di coalizione quanto a quelli di governo. Disarcionare Conte prima che completasse il suo percorso di legittimazione come leader politico (e diventasse un competitor su quell’elettorato popolare che era la base della sua creatura), sfruttare la debolezza degli alleati per fare la parte del leone in vista della riorganizzazione del campo del centrodestra, utilizzare la prima finestra elettorale disponibile per proporsi alla guida del Paese: un azzardo, certo, ma nulla di improvvisato o insensato. Le tempistiche non esattamente azzeccate e il non proprio imprevedibile trasformismo grillino avevano complicato il progetto del leader leghista, che era finito all'opposizione ma comunque largamente egemone a destra e con la possibilità di cannoneggiare un governo oggettivamente debole e diviso. La pandemia ha invece trasformato l'accrocchio Pd – LeU – Iv – M5s in un governo di resistenza, poi lo strappo di Renzi ha infine portato a Chigi un uomo come Mario Draghi, in grado di espungere dal dibattito pubblico la linfa vitale del salvinismo, il conflitto.

Salvini si è così ritrovato all’angolo, senza margini di manovra all’interno del governo e costretto a fronteggiare la concorrenza di Giorgia Meloni, libera di raccogliere i voti dell’elettorato deluso e scontento dalla decisione della Lega di sostenere Draghi. La tregua imposta dal Presidente del Consiglio (e il suo ascendente, diciamo così, sui mezzi di comunicazione) ha poi sgonfiato l’aggressività della comunicazione di Salvini, facendo apparire “la bestia” come un esperimento del tutto fuori contesto, stanco e ripetitivo. L’assalto a Salvini di alleati e compagni di partito si può comprendere solo in questo quadro, in una situazione di oggettiva debolezza e di incapacità di occupare il centro della scena politica, dal momento che tecniche e strumenti utilizzati in passato appaiono superati dagli eventi (più che dalla consapevolezza dell’opinione pubblica).

A guardarlo bene, è un assalto finanche ingeneroso. Salvini ha creato dal nulla una creatura politica nuova, le ha dato una dimensione nazionale e una piattaforma politico – ideologica, ha strutturato e mobilitato una community sovrapponendo leader, partito e missione, ha sfruttato ogni debolezza del campo avversario per ingrossare i consensi del proprio, al punto che da anni i sondaggi danno la coalizione di centrodestra come maggioritaria nel Paese. Infine, di fronte alla necessità di non perdere il treno del Pnrr e di accreditarsi come "responsabile" agli occhi tanto della comunità internazionale quanto dei settori produttivi, ha accettato l'abbraccio mortale con Draghi, sapendo benissimo di prestare il fianco a critiche interne ed esterne, e di mettersi in una condizione di oggettiva debolezza. Le ambiguità e gli (enormi) errori nella gestione della crisi pandemica hanno fatto il resto, facendo di Salvini un facile bersaglio, da destra a sinistra.

A parere di chi scrive, però, è prematuro parlare della chiusura di un ciclo o immaginare clamorosi stravolgimenti interni al Carroccio. Se il dualismo con Giorgetti è ormai assunto a categoria dello spirito (da anni non passa giorno senza trovare sui cartacei il retroscena di uno scontro imminente e decisivo fra i due), è pur vero che in casa leghista si ragiona da tempo sulla costruzione di un’alternativa al Capitano. Eppure i margini di manovra di Zaia restano ristretti e la spendibilità di Fedriga come leader nazionale tutta ancora da verificare. Lo stesso tentativo di addossargli la colpa del rovescio alle Comunali è destinato a naufragare, tanto per le evidenti corresponsabilità di Fdi e Forza Italia, che per la scelta di non nascondere i problemi e non cercare scusanti. In tal senso, nell'analisi post voto fatta a caldo è già possibile intravedere la strategia che Salvini adotterà nei mesi a venire: tentare di riguadagnare il centro dell'agenda politica e rompere l'assedio alla Lega. Essere uscito praticamente indenne dal "caso fascismo" e aver lavorato per cercare un punto di equilibrio fra le critiche al Green pass e un approccio più responsabile alla gestione della pandemia sono segnali importanti della ricerca di una nuova dimensione, che tenga dentro la necessità di recuperare centralità e tenere insieme le diverse anime della Lega. Un compito, quest'ultimo, non semplicissimo ma che pochi altri appaiono in grado di poter sostenere.

Il momento è più che mai propizio per rompere gli equilibri, perché l'agenda è di quelle importanti, dalla legge di bilancio alla definizione della strategia di uscita dallo stato di emergenza, fino ovviamente alla scelta del nuovo Presidente della Repubblica. Appuntamenti cui il leader leghista vuole arrivare con le mani libere, ovvero con la possibilità di spingere sull'acceleratore ogni volta che lo ritenga necessario, sfruttando anche la posizione non semplicissima in cui verrà a trovarsi Draghi, tra le sirene del Quirinale e quelle di Chigi. Ma soprattutto vuole arrivarci da leader principale dell'intero schieramento di centrodestra, piaccia o meno a Meloni e Berlusconi. È questa la partita decisiva, quella cui dovremmo cominciare a guardare con attenzione per capire il futuro di Salvini, della Lega e dell'intero centrodestra.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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