Altro giro, altra corsa. Anche alle Elezioni amministrative del 14 e 15 maggio 2023 decine di migliaia di italiani avranno modo di fare esperienza di quanto possano essere odiosi e ingiusti alcuni privilegi. O meglio, di come le distorsioni interpretative di leggi anche sacrosante mettano in crisi il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, contribuendo a quella disaffezione alla politica di cui spesso si parla a sproposito. Ci riferiamo a quelle che ormai sono chiamate le “liste dei militari”, un meccanismo perfettamente legale con il quale migliaia di operatori delle forze dell’ordine, dell’esercito e non solo, ottengono decine di giorni di congedo retribuito senza fare praticamente nulla.
Il congedo per lavoratori e militari candidati
Per capire di cosa stiamo parlando e perché si tratti di una vergogna nazionale, bisogna dare delle piccole informazioni di contesto. Ogni cittadino che gode dei diritti politici deve essere messo nelle condizioni di esercitare l’elettorato attivo e passivo: votare, candidarsi, sostenere la campagna elettorale. I legislatori hanno, nel corso degli anni, lavorato per eliminare gli ostacoli che si frapponevano fra i cittadini e i loro diritti, agevolando in ogni modo l’accesso all’elettorato attivo e passivo. In tal senso si inserisce la previsione di giorni di congedo per permettere di prendere parte alla campagna elettorale ai lavoratori che decidono di candidarsi e dare il loro contributo alla gestione della cosa pubblica. Il ragionamento di fondo verte su un principio condivisibile, ovvero non rendere la politica un affare di pochi, di coloro cioè che non hanno un'attività lavorativa che ne assorbe energie e attenzioni, al punto da pregiudicarne la possibilità di essere eletti. Così, i contratti collettivi nazionali prevedono la possibilità di usufruire di un periodo di aspettativa nel caso in cui dipendenti pubblici (a tempo indeterminato) decidessero di candidarsi alle elezioni. Tutto giusto.
Qual è il problema, dunque? Ecco, abbiamo dimenticato di menzionare un particolare importante, uno “molto italiano”, per citare una fortunata serie televisiva. L’aspettativa per partecipare alla campagna elettorale, infatti, è senza retribuzione per tutti i dipendenti, a eccezione degli appartenenti alle forze di polizia e ai corpi militari.
La legge numero 121 dell’1 aprile 1981, all’articolo 81 (che disciplina il comportamento politico degli appartenenti alle forze di polizia) stabilisce che:
Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in abito civile.
Per quanto riguarda gli appartenenti ai corpi militari, bisogna far riferimento all’articolo 1484 del Codice dell’Ordinamento Militare:
I militari candidati a elezioni per il Parlamento europeo, a elezioni politiche o amministrative possono svolgere liberamente attività politica e di propaganda al di fuori dell’ambiente militare e in abito civile. Essi sono posti in apposita licenza straordinaria per la durata della campagna elettorale.
Si tratta di un periodo totalmente retribuito, con la sola esclusione “delle indennità e dei compensi legati all'effettivo svolgimento dell'attività lavorativa” (e ci mancherebbe pure), che dura per l’intera campagna elettorale e termina appunto due giorni prima delle elezioni (quando vige il silenzio elettorale e non è consentita la propaganda politica).
Non abbiamo ancora finito.
La campagna elettorale dura di norma 30 giorni, ma il periodo di “riposo” per i militari può essere più ampio, perché, non appena il dipendente comunica al capo ufficio di aver accettato formalmente la candidatura, viene “dispensato dall'esercizio di qualsivoglia attività, in attesa del collocamento formale in aspettativa, in ossequio al principio secondo il quale chi è candidato non può svolgere servizio”.
Ricapitolando, dunque: un appartenente a corpi militari o di polizia che decida di candidarsi alle elezioni ha diritto a un periodo di sostanziale riposo retribuito che può arrivare fino a 45 / 50 giorni, tra congedi, licenze, aspettative o dispense dall’esercizio di ogni attività; un dipendente pubblico gode di tre giorni di congedo retribuito e, nel caso ne faccia richiesta, di un periodo di aspettativa non retribuita; un lavoratore privato può al massimo accedere all'aspettativa non retribuita.
Le liste dei militari: il vero problema
Fin qui, direte voi, parliamo al massimo di un'evidente disparità fra i lavoratori, niente di così scandaloso. Ci sono contratti di lavoro con maggiori garanzie e benefici, il trattamento speciale per i militari candidati potrebbe rientrare in questa casistica. Il vero problema risiede tra il combinato disposto fra una norma simile e altri meccanismi, anch'essi in qualche modo pensati per essere di garanzia ed equità. Anche in questo caso è necessario fare un passo indietro e dare delle informazioni di contesto.
Prendiamo il caso delle elezioni comunali. In linea generale, per presentare una lista elettorale a sostegno di un candidato sindaco è necessario raccogliere un certo numero di firme tra gli aventi diritto al voto in quel comune. Le firme vanno autenticate e consegnate all'ufficio elettorale del comune con modalità, responsabilità e tempistiche molto precise. In buona sostanza, deve esserci un piccolo gruppo di cittadini che sostiene la presentazione di una lista e di un candidato sindaco, in modo da garantire che non vi siano distorsioni dello strumento elettorale.
Questa regola però non vale per i Comuni con una popolazione al di sotto dei mille abitanti. Nei piccoli centri, infatti, non è necessario raccogliere firme per presentare una lista elettorale.
State cominciando a collegare le cose?
Esatto, a un appartenente di un corpo militare / di polizia basterebbe cercare quando si tengono le elezioni in un comune con meno di mille abitanti, accordarsi con meno di una decina di commilitoni per presentare una lista per il suddetto comune, produrre in municipio la scarna documentazione necessaria e il gioco è fatto: per lui e per tutti i candidati ecco pronti una quarantina di giorni di congedo/licenza con piena retribuzione. Intendiamoci, non ci riferiamo a chi legittimamente vuole candidarsi alle Comunali per dare il proprio contributo alla vita amministrativa di una comunità. Stiamo parlando ad esempio di decine di militari che vivono e risiedono a Roma, che si presentano con una lista per amministrare il comune di XXX, piccolo borgo delle aree interne della Basilicata, che magari non hanno visto nemmeno in cartolina. È un meccanismo ormai rodato, una specie di truffa perfettamente legale, che aumenta a ogni consultazione elettorale e che conta centinaia di casi, con migliaia di militari che grazie a questo trucchetto si faranno oltre un mese di vacanza a spese dei contribuenti italiani.
Non ci credete ancora? Vi facciamo qualche esempio concreto. Arpaise, piccolo comune della provincia di Benevento di circa settecento abitanti: ai nastri di partenza otto candidati sindaco, con otto liste e oltre settanta candidati, nella stragrande maggioranza residenti in altri comuni e appartenenti a corpi militari o di polizia; una media di un candidato ogni nove abitanti, uno ogni 5 votanti. Cairano, comune in provincia di Avellino con 275 abitanti: cinque liste, cinquanta candidati, uno ogni 5 abitanti, uno ogni 3 votanti. Salcito è un comune in provincia di Campobasso che conta 630 abitanti: le liste sono nove. A Campochiaro, sempre in Molise, per 750 abitanti ci sono otto liste con oltre 70 candidati. Uno dei casi più interessanti è quello di Macchia Valfortore, comune nel quale alle ultime elezioni politiche hanno votato ben 200 aventi diritto: le liste sono ben sette, i candidati settanta, con una media di uno ogni 2,8 elettori.
Perché nessuno interviene?
Il fenomeno delle liste dei militari non è nuovo né recente. Ci sono testimonianze di circa trenta anni fa di veri e propri gruppi organizzati, in grado di monitorare sistematicamente quali fossero i piccoli centri al voto, presentare le liste e godersi settimane su settimane di congedo retribuito. Le limitazioni a tale pratica sono sostanzialmente inesistenti (c'è il divieto di operare per tre anni nella stessa circoscrizione in cui ci si candida, ma il riferimento è a Politiche ed Europee, appuntamenti in cui è praticamente impossibile mettere in atto il giochetto). Diversi sindaci dei piccoli comuni hanno provato a sollevare la questione al ministero dell'Interno, senza alcun riscontro effettivo. Diversi cittadini hanno segnalato a giornali e media il problema, quella che è a tutti gli effetti una mancanza di rispetto nei confronti delle loro piccole comunità e uno svilimento della strumento democratico, ma senza ottenere alcun cambiamento.
La cosa, peraltro, non riguarda nemmeno solo i piccoli centri, come vi raccontavamo in questo approfondimento. Anche in alcuni comuni con più di mille abitanti, infatti, è possibile rintracciare liste civetta composte in larga parte da militari. Sono liste fantoccio, che normalmente vengono presentate quando c'è un solo candidato alla carica di sindaco e che hanno l'unico scopo di neutralizzare il quorum necessario all'elezione del primo cittadino. Nel caso in cui vi sia un solo candidato sindaco, infatti, affinché l'elezione sia valida è necessario che si rechi alle urne il 40% + 1 degli aventi diritto, evento non di facile raggiungimento. Una decina di militari, una lista fantoccio, un candidato farlocco, firmatari "gentilmente offerti" da chi organizza la lista del candidato vero e il gioco è fatto: non serve più il quorum, elezione assicurata.
Ma se la situazione è questa (e lo è), vi chiederete perché nessuno intervenga. Ecco, ci sono diversi motivi. Il primo è che sarebbe tecnicamente impossibile, nonché antidemocratico, inserire limitazioni all'elettorato passivo, fondate sul "sospetto" che uno o più cittadini non siano "realmente interessati" a concorrere per il consiglio comunale di un qualunque comune italiano. Inoltre, non si possono prevedere strumenti che limitino la partecipazione democratica dei cittadini in base alla loro appartenenza a un corpo di polizia o dell'esercito (ci sono già norme per disciplinarne i comportamenti e delimitarne il campo di azione). Infine, va detto che la previsione dell'aspettativa retribuita per i cittadini che concorrono alla vita democratica della propria comunità non è concettualmente errata. Semmai lo è l'abuso.
Resterebbero i meccanismi di moral suasion, gli appelli alla responsabilità, la speranza che le persone si rendano conto di quanti danni facciano atteggiamenti e comportamenti di questo tipo. Passare mesi in congedo a spese dei contribuenti italiani è il meno: quello che davvero non è tollerabile è lo sfregio ai meccanismi democratici, un insulto verso tutti quei cittadini che alla politica nei piccoli centri dedicano tempo e risorse.