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Alluvione Emilia Romagna 2023

Non sarà la propaganda di Giorgia Meloni a risolvere l’alluvione in Emilia Romagna

La Presidente del Consiglio ha annunciato il suo ritorno anticipato dal G7: o non si fida dei membri del suo governo o sta portando avanti l’ormai rodata retorica della donna sola al comando, usando ancora una volta l’archetipo della Grande Madre.
A cura di Roberta Covelli
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L'alluvione in Emilia Romagna, sintomo di una crisi climatica ormai realtà, ha spinto Giorgia Meloni ad annunciare il suo ritorno anticipato dalle riunioni del G7: "Non riesco a stare così lontana dall'Italia in un momento così drammatico – ha dichiarato – devo esserci in prima persona per lavorare alle soluzioni necessarie".

In vista del Consiglio dei ministri previsto per martedì, la presidente visiterà le zone dell’Emilia-Romagna più colpite dall’alluvione, seguendo una linea politica e comunicativa che è il caso di indagare.

La vicinanza geografica non è sempre solidarietà

La visita istituzionale nei luoghi di una calamità è una prassi politica piuttosto diffusa: incontrando le persone colpite da un’alluvione, da un terremoto, da una disgrazia, Giorgia Meloni, come i suoi predecessori, non rappresenta il suo partito né il suo governo, ma l’Italia intera.

È però il caso di precisare che la funzione di una visita istituzionale in queste circostanze è di vicinanza empatica e solidale, di presa di coscienza dei problemi di un territorio e di una popolazione, con una dichiarazione di intenti, una disponibilità ad agire.

In questi pochi mesi di governo, Giorgia Meloni è già andata sul luogo di una disgrazia o, meglio, ha convocato un Consiglio dei Ministri, all’indomani di un naufragio, a Cutro.

Nell’occasione, la presidente non aveva visitato i familiari delle vittime, non si era recata a rendere omaggio alle salme recuperate, non aveva mostrato solidarietà, anzi: il governo votò per rendere ancora più limitata la protezione speciale. La riunione del consiglio dei ministri a Cutro fu una passerella (mal riuscita peraltro), priva della funzione empatica che dovrebbero avere le visite istituzionali all’indomani di una tragedia: fu propaganda.

Il dubbio della propaganda

Il dubbio che sia propaganda anche questo ritorno frettoloso di Giorgia Meloni dal G7 non è infondato: la retorica non è più (solo) quella della vicinanza geografica, ma soprattutto quella della donna sola al comando, con un impatto sugli equilibri istituzionali dell’esecutivo.

Prima di tutto chiariamo: Giorgia Meloni non era in vacanza, stava lavorando in rappresentanza dell’Italia e in virtù del suo ruolo di presidente del Consiglio. Se avesse proseguito con il suo lavoro all’estero nessuno l’avrebbe biasimata.

È poi il caso di ricordare che, per quanto la presidente abbia un potere superiore a quello dei ministri, il governo italiano resta un organo collegiale. Questo significa che Meloni presiede il Consiglio dei Ministri, se si dimette cade il governo, è vero, ma l’esecutivo può benissimo lavorare anche in caso di suo temporaneo impedimento, anche alla luce della nomina di ben due vicepresidenti, Salvini e Tajani, e alla presenza di diversi ministri con materie di competenza attinenti alla gestione del caso.

Perché allora Giorgia Meloni torna in anticipo dal lavoro, sostenendo di doversi occupare in prima persona della questione? La prima ipotesi è che non si fidi dei membri del suo governo, che non li ritenga in grado di affrontare una questione che è certo drammatica, ma che era in un certo senso prevedibile, e per la quale i sistemi di allerta e di soccorso dovrebbero funzionare a prescindere dalla presenza sul suolo nazionale della Presidente del Consiglio.

La seconda ipotesi è che Giorgia Meloni voglia ancora fare propaganda, assumendo il ruolo della donna sola al comando, in grado, lei e lei sola, di risolvere ogni problema, con una comunicazione ormai rodata tra autoritarismo e maternità.

L'archetipo junghiano

Ormai da anni, infatti, la propaganda di Giorgia Meloni richiama un archetipo junghiano. Un archetipo è un modello narrativo e psicologico, che si ritrova nella mitologia, nelle fiabe, spesso anche nei romanzi e nei racconti: Carl Gustav Jung, ipotizzando l’esistenza di un inconscio collettivo, sosteneva che questi archetipi fossero comuni a tutte le società e a tutte le culture. Uno di questi modelli archetipici è quello della Grande madre, una potenza femminile distruttrice e salvatrice, nutrice e divoratrice. Ricorda qualcosa?

L’aumento del consenso di Giorgia Meloni, dall’opposizione, si è fondato anche su questo: ribadire di continuo il proprio ruolo materno, abbandonando le caratteristiche emotive della mamma e richiamandosi alla potenza della madre. È difficile non pensare a quel discorso meloniano, diffuso anche come remix, perfino dai contestatori, in cui la leader di Fratelli d’Italia si presentava, urlando i propri attributi: Giorgia, madre, italiana, cristiana.

Di fronte alla crisi climatica la propaganda non basta

Gli archetipi, e i loro usi propagandistici, possono essere utili per accumulare consenso, vincere le elezioni, perfino per restare stabilmente in vantaggio nei sondaggi e mantenere il potere, ma non risolvono i problemi, specie se questi derivano da questioni complesse.

Quella in Emilia Romagna non è stata una semplice ondata di maltempo e solo l’analisi attenta delle politiche locali, nazionali e globali potrà spiegare quante e quali cause hanno portato a un disastro con tredici morti, moltissimi sfollati, diversi corsi d’acqua esondati, troppi millimetri d’acqua in troppo poco tempo su terreni già saturi. Che l’aumento di eventi atmosferici estremi dipenda dal cambiamento climatico è ormai un fatto, che cementificazione e deforestazione dei territori siano un problema lo spiegavano già, inascoltate, le pubblicità progresso di decenni fa.

Ma a problemi complessi servono risposte complesse: per risolvere una situazione drammatica non basta certo che la donna della provvidenza, la Grande Madre della patria, torni in Italia, disertando un impegno internazionale. Sempre che il suo obiettivo non sia, appunto, solo esibire propagandisticamente il suo ritorno.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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