Di fronte a chi dice che le vittime del Covid sono "persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese", la prima reazione è quella di elencare i motivi per i quali, se disponiamo di un sistema sanitario nazionale, è anche grazie ai contributi di chi oggi è in pensione. Una reazione legittima e tuttavia scivolosa, perché implicitamente conferma l’idea secondo cui il valore della vita di una persona si misura sulla sua produttività, attuale o passata. Qualunque sia il retro-pensiero del governatore della Liguria Giovanni Toti, la sua frase ha aggiunto un tassello all’eugenetica economica che da mesi tiene banco sia in Italia che nel resto del mondo. "Perché non chiudete gli anziani e non ci fate lavorare/circolare/produrre/mandare i bambini a scuola?", proposte particolarmente fastidiose, non fosse altro per una questione di numeri: 7 milioni e 400mila famiglie italiane vivono con la pensione di 6 milioni di anziani (fonti Istat 2019) e circa il 35,7% dei pensionati italiani devolve le proprie entrate a figli e nipoti, per una spesa complessiva che si aggira tra gli 8 e i 10 miliardi di euro. Nel 21,9% dei casi, ossia per oltre 2 milioni e 600mila nuclei familiari, le pensioni degli anziani rappresentano l’unica fonte di reddito monetario. Detto altrimenti, senza il nonno o la nonna, moltissime famiglie italiane non avrebbero di che mangiare. Ma c'è di più: mentre per una certa politica e una certa società civile gli anziani sono diventati un problema da isolare fino all'arrivo del vaccino o dell'immunità di gregge, in spregio a ogni dubbio giuridico e logistico, per le imprese e gli investitori rimangono il business più sicuro su cui puntare anche nella fase post-Covid. Perché a spendere in beni di consumo, saranno ancora loro, gli over 65. È il capitalismo, bellezza. E il capitalismo ha ormai fatto i suoi anni.
Politica e società civile li vogliono isolare, le imprese già puntano su di loro per il post-Covid
Ogni 100 giovani si contano 173 anziani e ogni 3 persone attive sul mercato del lavoro ce n’è uno over 65. Una popolazione sempre più anziana, tutto sommato in buona salute, con molto tempo a disposizione e soldi da spendere in consumi, questo eravamo prima della pandemia, e alle imprese andava benissimo così. Rispetto agli under 40, gli over 65 in Italia sono i consumatori più ambiti dalle imprese perché hanno: un consumo pro capite medio annuo più elevato (15,7 mila euro), un reddito medio più alto (20.000) una maggiore ricchezza pro capite (232.000), una forte solidità finanziaria (solo 1 anziano su 10 ha debiti, mentre quasi 1 su 3 tra gli under 40 è indebitato), e soprattutto resiste al ciclo economico (dopo la crisi del 2008, quello degli over 65 è l'unico reddito individuale annuale a essere tornato ai livelli pre-crisi già nel 2016), resilienza, questa, che li rende attori privilegiati della fase economica post-Covid, perché laddove i giovani, gli under 40 e le donne ne usciranno con le ossa rotte, gli unici che potranno ancora acquistare beni e servizi ‘non necessari’ saranno loro, gli over 65.
Mentre i politici discutono di rinchiudere gli anziani in casa per salvare l’economia, l’economia pensa già a come farli tornare a spendere, tanto più che, come mostra il report Istat “Scenari sugli effetti demografici di Covid-19 per l’anno 2020”, la sovramortalità tra gli anziani causata dalla pandemia non modificherà la struttura demografica dell’Italia, né rallenterà significativamente l’aumento degli over 65. Purché in veste di consumatori e acquirenti, gli anziani rimangono per le imprese un business sicuro. Se da Confindustria nessuno tifa per il loro isolamento, un motivo ci sarà.
Musei, cinema, teatri, beni di lusso: senza gli anziani sarebbe crisi (ancora più) nera
Mentre negli ultimi 25 anni la spesa dei consumi familiari si è ridotta del 14% in termini reali, quella degli over 65 è salita del 23,3%. Gli anziani sono ottimi consumatori, e il mercato, incluso quello dell'arte, della cultura, e dei beni di lusso, se n’è accorto da tempo. L'elaborazione Censis-Tendercapital sui dati Istat 2018 e sulle variazioni in percentuale rispetto al 2008 parlano chiaro: gli anziani spendono 2,3 miliardi di euro ogni anno per musei e mostre (+47% in dieci anni), 2,2 miliari per il cinema (+58,2), 2 miliardi (+74,2%) per monumenti e siti archeologici, 1,6 miliardi per il teatro (+29,1%), 1,6 miliardi (+13,3%) per concerti musicali. Un apporto, quello degli anziani al mondo dello spettacolo, provvidenziale, se si considera che, guardando solo al teatro, per quasi l’84% degli spettatori si registra un’affluenza che non oltrepassa le 3 volte nell’anno, contro un 6,3% di chi, in là con gli anni, vi si reca almeno 7 volte.
La ‘Silver Economy‘, vale a dire il sistema di produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi destinato agli over 65, come ha detto Moreno Zani, presidente di Tender-capital, in Italia muove 620 miliardi di euro in investimenti. Puntare sui consumatori over 65 – riporta il dossier ‘La Silver Economy e le sue conseguenze' – significa puntare sulla "longevità come risorsa e come fonte di nuove opportunità di investimento" e "oltrepassare stereotipi ancora troppo diffusi". Il 18 febbraio 2020 il Sole 24 ore titolava "Il nuovo business del lusso? La giovinezza delle over 60”, tre giorni dopo, il 21 febbraio, si teneva la prima conferenza stampa con il Ministro Speranza, il Capo Dipartimento della Protezione Civile Borrelli e il Presidente Fontana, di lì a in poi zone rosse, lockdown, sforzi, errori, perdite di tempo, tensioni, morti. Una pandemia che dopo avere squassato ogni nostra certezza, rischia di lasciarci tali e quali a prima, consumatori ossessionati, intenti a rincorrere il mito della longevità, un sogno realizzabile, sì, a patto che si tratti della propria. Perché la longevità altrui ha un costo sociale, va isolata, è un'altra cosa, prende un nome diverso. Si chiama vecchiaia.