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Covid 19

Non esiste una “pandemia dei non vaccinati”, esiste la pandemia: e non è ancora finita

Non sarà l’inverno del 2020 ma la lotta alla Covid-19 è tutt’altro che finita. E pensare che riguardi solo i non vaccinati è un errore che può costare caro.
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Sebbene con tempi e numeri ancora molto diversi da quelli del resto dei paesi europei, anche in Italia stiamo assistendo a una sensibile ripresa della circolazione del SarsCov2, che si sta traducendo nell’aumento dei casi, delle ospedalizzazioni in area medica e dei ricoveri in terapia intensiva. Al punto in cui siamo, i dati attuali e l’esperienza pregressa ci dicono che una nuova ondata della pandemia non è evitabile, ma soltanto arginabile: possiamo cioè mettere in campo strumenti e pratiche per ridurre la circolazione del virus, per limitarne gli effetti più gravi e mitigarne l’impatto sul sistema economico e delle relazioni sociali. Il modo in cui lo faremo (o lo abbiamo fatto) è demandato a precise scelte politiche, che contemperano un insieme di fattori e determineranno l’equilibrio fra tutela sanitaria, tenuta del sistema economico e impatto sociale.

La questione è sempre la stessa, insomma. C’è un quadro epidemiologico chiaro, tocca alla politica operare scelte di prevenzione e gestione, fissando la soglia di accettabilità del rischio e assumendosene la responsabilità. In UK, ad esempio, il governo ha scelto da tempo di accettare le conseguenze della revoca di ogni restrizione, lasciando sostanzialmente correre il contagio e basando l’intera risposta alla Delta sulle vaccinazioni (e c'è chi si chiede quanto etico o accettabile sia). In altre zone del pianeta si è operato in modo diverso, puntando al contenimento della trasmissione e alla protezione della campagna vaccinale. Le nazioni con minore possibilità di accesso ai vaccini, infine, sono state costrette a percorrere strade diverse, rincorrendo il contagio e fronteggiando crisi di elevata gravità. I numeri ci dicono e ci diranno molto su quali strategie abbiano premiato in termini di salute collettiva e anche di impatto economico, quello che non cambia è che si sia trattato non di casualità, ma del combinato fra scelte politiche e dinamiche proprie della pandemia.

Essenzialmente, è ciò che sta accadendo anche in Italia in queste settimane. L’aumento dei casi, la crescita delle ospedalizzazioni e dei decessi, riflettono l’evoluzione della pandemia ma sono anche il risultato di scelte della politica e delle autorità sanitarie. Una complessità che non si presta affatto alle banalizzazioni del racconto pubblico, che anzi fanno danni profondi e difficili da sanare. Lasciando da parte le follie cospirazioniste, negazioniste o antivacciniste (che non hanno alcun fondamento scientifico, né valenza epistemologica), non ha aiutato il modo in cui si è scelto di raccontare ai cittadini una fase che appare ancora molto difficile e non priva di insidie.

La pandemia dei non vaccinati

Non esiste una pandemia dei non vaccinati. Esiste la pandemia. Il vaccino è un incredibile risultato della tecnica e della medicina e costituisce l’arma fondamentale della lotta al virus: è sicuro, efficace e necessario per proteggere noi stessi e gli altri. I dati, di ogni nazione ed ente di ricerca, confermano che c’è un’enorme differenza fra vaccinai e non vaccinati in termini di possibilità di contrarre la malattia, ma soprattutto in materia di ospedalizzazioni e morti. Non c’è alcun dubbio o zona grigia, dal report ISS:

L’efficacia vaccinale nel prevenire qualsiasi diagnosi sintomatica o asintomatica di COVID-19 nelle persone completamente vaccinate è diminuita passando dal 89%, durante la fase epidemica con variante alfa prevalente, al 75% durante la fase epidemica con variante delta prevalente. Rimane comunque elevata l’efficacia vaccinale nel prevenire l’ospedalizzazione (91%), il ricovero in terapia intensiva (95%) o il decesso (91%) nella fase epidemica con variante delta prevalente.

Il confronto tra vaccinati e non vaccinati è significativo:

Ma resta il rischio, anche se sei vaccinato con doppia dose, e con esso le conseguenze in termini di circolazione del contagio, di minaccia alle persone vulnerabili e di pressione sul sistema ospedaliero. Vaccinarsi è fondamentale, ma non basta. Restituire l'impressione che una volta vaccinati la pandemia non ci riguardasse più, è stato un errore comunicativo e strategico. Così come lo è stato rincorrere soglie – spot della copertura vaccinale dopo le quali tutto sarebbe finito (prima il 75%, poi l'80%, ora pare il 90%). Abbiamo avuto paura di dire una cosa semplice e veritiera: vaccinarsi è prima di tutto un atto egoistico, inteso come protezione della propria salute, come scudo personale alle insidie della malattia. Proteggendo noi stessi, poi, compiamo anche un gesto di responsabilità nei confronti della collettività, perché riducendo il contagio e alleviando la pressione sugli ospedali, aiutiamo i vulnerabili e anche i non vaccinati. Un gesto individuale e personale che si trasforma in sforzo collettivo, di serietà e responsabilità.

Non c'era alcun sacrificio alla nazione da fare, si trattava di proteggersi grazie a uno strumento sicuro ed efficace. Invece, non solo si è finito con il creare una contrapposizione radicale fra persone comunque esposte alla minaccia della Covid-19, ma si sono armate le macchine comunicative dei complottisti, dei negazionisti e degli scettici, mai come ora pronti a strumentalizzare eventi facilmente prevedibili (come la nuova ondata di contagi) o dati largamente attesi. Come quelli sulla diminuzione nel tempo dell'efficacia dei vaccini.

La terza dose

I dati mostrano con chiarezza come l'efficacia dei vaccini diminuisca col tempo. Non si tratta di una sorpresa o di una falla nella sperimentazione o di altre sciocchezze che rimbalzano dalla galassia no-vax. È il frutto di analisi che vanno avanti da mesi, confermate dai risconti che arrivano dalle nazioni che hanno cominciato prima la vaccinazione su larga scala. Qui da noi, ISS ha quantificato i termini della questione:

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Un approfondimento del New York Times aggiunge ulteriori dettagli, in particolare per quel che concerne i diversi intervalli di tempo dopo cui si evidenzia una perdita di efficacia dei vaccini Pfizer e Moderna. Il concetto su cui conviene soffermarci è quello espresso con chiarezza da Melissa Higdon della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health: “L’obiettivo principale dei vaccini Covid è quello di prevenire le formi gravi della malattia e le morti, e in questo continuano a fare un buon lavoro. Però la perdita di efficacia contro l’infezione ha un impatto rilevante, c’è da attendersi una crescita generalizzata dei casi”.

L’aumento dei casi tra i vaccinati non può essere sottovalutato. Come detto, il vaccino non è uno scudo inscalfibile, non azzera il rischio. Di conseguenza, accettare che il contagio si diffonda senza ostacoli significa non solo mettere a rischio i non vaccinati, ma accettare che un numero consistente di vaccinati sia esposto a forme gravi o agli effetti della long Covid. Una risposta efficace c’è, la terza dose, ma è necessario accelerare e convincere i cittadini che si tratta della scelta giusta. I dati, anche in questo caso, sono più che incoraggianti: il caso Israele mostra come le dosi aggiuntive e i booster siano efficaci nel ripristinare la protezione contro casi gravi e morti, oltre che nell’abbassare ancora il tasso di infezione; report inglesi più recenti sono ancora più categorici, con protezione che torna ben oltre il 90% anche per Astrazeneca.

Il nostro governo ha deciso di somministrare booster e dosi aggiuntive a tutti gli over 40, probabilmente con un eccesso di cautela che ha comportato un allungamento di qualche settimana dei tempi. È bene però sottolineare che, in questa fase e con questi livelli di contagio, una partita fondamentale, quella che ci consentirà di salvare migliaia di vite ed evitare che il sistema sanitario vada in affanno, si gioca ancora sulla capacità che avremo di convincere gli italiani che ancora non hanno avuto neanche la prima dose.

Il green pass potenziato e le nuove restrizioni

Nessuno può ragionevolmente sostenere che il prossimo inverno sarà come quello del 2020: condizioni diverse, conoscenze diverse, protezione diversa grazie ai vaccini. La quasi totalità dei governi europei ha ugualmente scelto di potenziare le misure restrittive, per impedire che la circolazione del virus sia nuovamente fuori controllo e per tamponare la pressione sui sistemi ospedalieri. Perché la Delta ha determinato la crescita record delle infezioni praticamente ovunque. Da settimane si ragiona sull’ipotesi di calibrare le restrizioni in relazione allo status vaccinale, prevedendo limitazioni di accesso ai servizi non essenziali per coloro i quali non siano vaccinati o guariti. Più che di “lockdown per i non vaccinati” (una formula confondente), si tratterebbe di estendere l’invasività del green pass (o strumenti simili), eliminando la possibilità di ottenerlo tramite tampone, o comunque limitandone il rilascio ai soli test molecolari. In Germania si parla di strategia 2G, in Repubblica Ceca si va verso l'esclusione dei non vaccinati da eventi e servizi pubblici, persino in Svezia si fa marcia indietro e si pensa di chiedere la certificazione verde in determinati ambienti.

In Italia la situazione è solo leggermente diversa. Nell’immediato il governo non ha intenzione di implementare ulteriori misure restrittive, anche a causa delle divergenze interne alla maggioranza. Da giorni si ragiona sulla possibilità di operare una distinzione tra non vaccinati e vaccinati solo nelle Regioni che dovessero passare in arancione o rosso, eventualità che comunque richiederebbe tempo (per la prossima settimana l’intera Penisola resterà “bianca”). Lo strumento principale resterebbe il green pass, che dovrebbe garantire ai vaccinati di continuare a condurre una vita “normale” anche nel caso la situazione epidemiologica dovesse peggiorare sensibilmente.

Il problema è che questa linea rischia di essere pericolosa, soprattutto nel momento in cui dovesse essere interpretata come un “liberi tutti” per i vaccinati, facendo passare in secondo piano i problemi legati alla perdita di efficacia dei vaccini e all’attenzione che dobbiamo continuare a mantenere in termini di distanziamento, tracciamento e messa in sicurezza dei luoghi a rischio (pensiamo alla frettolosa rinuncia allo smart working, al mancato ammodernamento dei plessi scolastici e degli uffici pubblici sul versante dell'areazione e del distanziamento). Imporre maggiori restrizioni ai soli non vaccinati può essere un elemento per spingere la campagna per le dosi aggiuntive e i booster, ma dobbiamo gestire con grande cautela una fase che è ancora di transizione per tutti. Il caso austriaco, con province che hanno scelto di ampliare le restrizioni a tutti perché le limitazioni ai soli non vaccinati non sembrano aver funzionato, dovrebbe servire da monito, fosse solo per evitare una debacle comunicativa.

Terza dose, ampliamento della popolazione vaccinata, mantenimento delle prassi comportamentali per il contenimento dei contagi, riduzione del rischio in ambienti con poca areazione, tracciamento e isolamento dei focolai, utilizzo massiccio delle mascherine: ci piaccia o meno, ma la nostra vita sarà ancora questa, si spera solo per qualche altro mese.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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