Proviamo a uscire dal racconto della politica fatta di personaggi e caratteri, come se davvero il palcoscenico fosse occupato dai bisticci di un teen drama. Non che le personalità dei leader non contino nulla, ma è evidente che il nodo dello scontro è tutto politico, sociale ed ideologico e vede al centro le enormi risorse economiche messe a disposizione da Next Generation, la loro ubicazione e destinazione. Miliardi in grado di disegnare il futuro del paese.
Certo, l'inadeguatezza di molti ministri non ha aiutato, ma la posta in gioco tra Renzi e il resto della maggioranza non era la poltrona di Lucia Azzolina né la scarsa cultura garantista di Alfonso Bonafede. Anche il basso profilo tenuto dal Partito Democratico, che ponendosi sulla linea del Conte Ter costi quel che costi ha perso l'occasione di sottolineare i limiti dell'azione di governo, lasciando campo libero al blitzkrieg renziano.
Matteo Renzi non ha scatenato la crisi di governo per un'ansia da prima donna né per irrequietudine. Il leader di Italia Viva ha agito come testa di ariete di una parte significativa del mondo confindustriale, dei manager delle aziende di Stato e dei fan delle grandi opere, ansiosi di decidere su come saranno spesi i soldi, garantendosene una fetta significativa. C'è chi non è disponibile a vedere cadere dal tavolo neanche le briciole a favore di politiche di welfare redistributive e, nonostante la crisi sociale in atto, è pronto a sotterrare il già magro meccanismo del reddito di cittadinanza.
L'obiettivo di chi ha perseguito la nascita di un governo Draghi – compreso chi sta gioendo in silenzio dentro il PD – è la rottura dell'asse tra i dem e il M5S sostenuto dalla segreteria di Nicola Zingaretti. Il tentativo di far nascere in Italia un fronte moderatamente socialdemocratico – addomesticando le spinte più anti sistema dei pentastellati – che in questo frangente avrebbe permesso politiche pubbliche espansive, investimenti sulla riconversione ecologica e un'attenzione a chi ha di meno. Nessuna rivoluzione, come abbiamo misurato con la fine fatta fare a una pallida proposta di patrimoniale seppellita impietosamente in parlamento dalla stessa maggioranza, ma tanto è bastato per mettere in allarme il fronte di chi non è disposto a cedere nulla dei propri profitti o a vedere aumentare la spesa pubblica in settori strategici oggi più come come la ricerca e la sanità.
E dopo aver distrutto l'alleanza giallorossa, dopo due anni di sostegno al governo tecnico di Mario Draghi, già sembra di leggere gli appelli al voto utile contro l'avanzata delle destre e il "pericolo del fascismo" dei leader del centrosinistra. Ma è evidente che la sostituzione di una timida ipotesi di governo della crisi pandemica in chiave progressista con un governo della crisi dei tecnici, non potrà che aprire le porte a una nuova crescita delle forze di destra ed estrema destra e a un riposizionamento di almeno una parte del Movimento 5 Stelle. Giorgia Meloni e Matteo Salvini lasceranno il lavoro sporco ad altri indossando i panni anti establishment, pronti a governare un paese più diseguale che mai.
Il prossimo probabile Governo Draghi benedetto dal Capo dello Stato Sergio Mattarella non è dunque l'ultima spiaggia per salvare il Paese, né l'esito inevitabile per uscire dalla crisi in cui si trova il Paese. Draghi sta venendo presentato come il salvatore della Patria, ma il suo arrivo a Palazzo Chigi è l'epilogo di una strategia politica precisa, non di circostanze straordinarie.