Leggete bene: «Alcune persone finiscono per fare grandi affari. Io, per esempio, sono stato ricompensato per il lavoro che ho fatto in modo sproporzionato, mentre ci sono tanti che lavorano duramente allo stesso modo e che fanno fatica ad andare avanti». E poi: «Sono a favore di un sistema in cui, se si hanno più soldi, è necessario pagare una percentuale più alta di tasse. Credo che i ricchi dovrebbero pagare più di quanto paghino oggi, inclusi me e Melinda. Ci dovrebbe essere una tassa sul guadagni in conto capitale (plusvalenze) – ovvero una tassa sui soldi accumulati facendo investimenti – che dovrebbe colpire i più ricchi, anche perché nessuna delle persone più ricche al mondo ha fatto una fortuna soltanto con il proprio stipendio. Quindi bisognerebbe trasferire il carico fiscale più sul capitale che non sul lavoro». A pronunciare queste pericolosissime parole contro il capitalismo è Bill Gates, l'uomo più ricco del mondo, quello che molti capitani d'azienda inseguono come un Santo Graal della ricchezza.
Il ragionamento di Gates è sostanzialmente la base di ogni movimento (politico o culturale) che sia a favore di una ridistribuzione equa della ricchezza e del ruolo dello Stato nel garantire dignità economica per tutti. Chi ha di più paga di più: sarebbe anche scritto nella Costituzione. Ma il punto vero non è essere d'accordo o meno con Bill Gates (la politica del resto è la difesa delle diverse posizioni), è interessante registrare nelle parole del magnate USA una schiettezza che di questi tempi invece viene sminuita, derisa e isolata ogni volta che si tenta di ragionare su un'alternativa all'economia vigente. Accade negli USA e accade soprattutto qui da noi: appena si leva una voce per proporre una diversa tassazione per i ricchi partono di gran lena i tromboni che suonano l'allarme contro lo Stato predone, contro la feroce patrimoniale e contro l'esproprio voluto dalla sinistra. Di solito dura qualche giorno, giusto il tempo di spaventare un po' tutti (e anche i non ricchi si spaventano per tutelare il proprio sogno di diventare ricchi) e si torna tranquillamente allo status quo precedente, ovvero il così è e così deve rimanere.
Che la sinistra italiana sia ancora impantanata sull'articolo 18 (quello che ha tolto con tanta fierezza mentre era malgoverno riuscendo lì dove nemmeno il centrodestra era mai riuscito) e che non riesca a mettere in discussione il sistema finanziario e capitalistico attuale mentre Gates dagli USA ci dà lezioni di coraggio rende perfettamente l'idea di uno sbiadimento delle intenzioni e delle aspirazioni.
In un mondo in cui tutti usano la politica semplicemente per difendere le proprie posizioni e i propri diritti Bill Gates ha dalla sua parte l'arma più convincente per essere credibile: sta sposando una tesi che gli costerebbe qualcosa come 6,3 miliardi di dollari in tasse (calcolandole sulla proposta della candidata democratica Warren). E non vale nemmeno la solita tiritera del faccia beneficienza: Gates in 20 anni ha donato qualcosa come 45 miliardi di dollari in attività filantropiche. Ma come scriveva il Manzoni "il coraggio, uno non se lo può dare".