Angela Merkel, a capo di una superpotenza mondiale, fa piangere – involontariamente ma sotto i riflettori del mondo – una ragazzina. Dicendole sostanzialmente che non tutti possono sperare in una vita normale. A Roma – città allo sbando dal punto di vista amministrativo, morale e dell'ordine – un manipolo di fascistoidi organizza un assalto vero e proprio contro l'arrivo di 19 – diciannove! – migranti a Casale San Nicola; a Siracusa un padre, profugo disperato fuggito dalla devastazione della Siria racconta la morte della figlia, diabetica e morta sul barcone con le braccia protese verso l'Italia perché gli scafisti le avevano gettato in mare la vitale insulina. Sono gli stessi siriani che qualche poveraccio in felpa (o t-shirt) propone di «aiutare a casa loro» zompettando tra un talk show e l'altro.
Niente "stay human", noi non siamo rimasti umani. Davanti a queste miserie, tutte nello stesso giorno o poco più, viene da chiedersi cosa è rimasto a noi. A noi italiani, a noi europei. Le radici di navigatori e poeti seppellite tra la furia degli odiatori da social network e i sondaggi d'opinione; la memoria di coloro che furono emigranti, i nostri nonni, i nostri padri, inascoltabile, coperta dalle urla di chi s'ammazzerebbe per un punto di share o per un clic al grido di «1.500 euro per ogni immigrato in Italia mentre noi muoriamo di fame». «Annoiano, fanno ridere i padri quando raccontano la loro guerra» scriveva un tempo Danilo Dolci e la poesia era sui campi di concentramento nazisti.
Si concludeva così:
«Ciascuno umilmente si informi
umile ma responsabile riferisca a chi non sa:
dai campi con i cartelli a quelli nuovi, più ipocriti,
Auschwitz sta figliando nel mondo,
non sentite l’odore del fumo?
I figli pur diversi gli somigliano».