Come era facilmente prevedibile, la scelta della data in cui celebrare il Referendum 2011 da parte del Ministro dell'Interno Roberto Maroni ha sollevato un vero e proprio polverone. Nella giornata di ieri, infatti, Maroni ha confermato di aver individuato nel 12 giugno, praticamente il termine ultimo, la data in cui far esprimere i cittadini sui quattro quesiti referendari (sulla giustizia contro il legittimo impedimento, contro il ritorno del nucleare ed infine due in difesa dell’acqua pubblica). Dunque, l'agenda degli appuntamenti elettorali, salvo ripensamenti dell'ultim'ora (possibili entro la fine della prossima settimana), è precisamente delineata: il 15 e 16 maggio le Elezioni Amministrative 2011 (con il voto che riguarderà circa 1300 comuni e diverse amministrazioni provinciali), il 29 maggio il turno di ballottaggio per i comuni superiori ai 15mila abitanti ed infine il 12 giugno il voto referendario.
Una prospettiva che trova decisamente contrari i rappresentanti dell'opposizione, con il leader dell'Italia dei Valori Antonio di Pietro che, in un post sul suo blog personale, non ha risparmiato critiche durissime al Viminale ed alla maggioranza di Governo:
Il Governo si dimostra così impaurito truffaldino e anche un po’ ladro perché mandando gli elettori a votare una settimana dopo l’altra invece di concentrare tutto nella stessa data spende il doppio dei soldi. Soldi non suoi ma nostri, dei cittadini italiani. E tutto questo solo nella speranza di impedire che venga raggiunto il quorum sui tre temi fondamentali come l’acqua pubblica, il nucleare e il legittimo impedimento. Cioè il contrario di quello che un governo avrebbe il dovere costituzionale di fare. […] Credo che dobbiamo stare tutti molto, molto attenti. Berlusconi e la sua cricca di affaristi non sono affatto sul punto di sloggiare da palazzo Chigi. Proprio come l’amico Gheddafi, anche se per fortuna con altri mezzi, il caimano ha lanciato la sua controffensiva su tutti i fronti, con l’obiettivo di cancellare quel che più teme: la magistratura indipendente e la libera informazione.
La questione è comunque controversa ed i precedenti non confortano le rivendicazioni dell'opposizione, così come sottolineato alla stampa dallo stesso Maroni. E persino la considerazione dei costi aggiuntivi che comporta la rinuncia all'election day rischia di non essere argomento centrale nel dibattito politico, anche per la solita "guerra di cifre" che potrebbe scaturirne (300 milioni di spreco secondo il comitato promotore, molti meno secondo fonti governative).Certo, se poi a boccaire l'election day è un Ministro di quella stessa Lega Nord che non aveva mancato di sottolineare il "danno economico" causato dalla Festa Nazionale del 17 marzo, la cosa sembra assumere proporzioni diverse…
Piuttosto appare ancora una volta importante interrogarsi ancora sullo strumento referendario, con il quorum che non viene raggiunto ormai dalla consultazione dell'11 giugno 1995, quando su ben dodici quesiti si espresse circa il 57% degli italiani (mentre nel 2009 non si andò oltre il 23% degli aventi diritti). Una riflessione necessaria, proprio perchè quello del referendum è e deve continuare ad essere un "momento" irrinunciabile, che completa ed integra l'esercizio della pratica democratica nel nostro Paese.