Va bene, tutto sacrosanto. Annullare la parata del 2 giugno, destinare i fondi alle popolazioni colpite dal terremoto, ripetere che la parola sobrietà è inconciliabile con qualsivoglia sfilata. Men che mai con una parata militare. Però, per favore, non lasciamoci travolgere dalla solita ondata emotiva, dall'indignazione a comando che omogeneizza ogni cosa, senza distinzioni di sorta. Perché il 2 giugno, la Festa della Repubblica, non c'entra nulla con la parata militare e rappresenta invece uno di quei "momenti fondativi" dall'altissimo valore simbolico e, appunto, emozionale cui non dovremmo rinunciare. Soprattutto adesso. E proprio perché la tragedia dell'Emilia è quella di un Paese intero. Perché il 2 giugno rappresenta da sempre il nuovo inizio dell'Italia, la "vera e propria rinascita ideale, il riscatto morale di una nazione che è riuscita a mettersi alle spalle, almeno in parte, le troppe umiliazioni subite". Un Paese che sa ripartire, sempre.
E magari potremmo anche smetterla con una paradossale agiografia di Forlani, che era ministro di un Governo dimissionario, in un altro contesto (non dimentichiamo cosa è stato quel 1976 per lo Stato italiano) e la cui scelta rispondeva anche ad altre e più complesse ragioni. Evitare paragoni con Napolitano dovrebbe essere quasi un dovere, non fosse altro perché la storia parla per loro. E non sarà un gesto di buonsenso (cui è chiamato anche il nostro Presidente) a fare un eroe ed un modello. Così come non sarà una scelta sbagliata (non la prima, anche a parere di chi scrive) a mettere in discussione il valore e la tempra di una persona come Napolitano.