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Niente mensa nelle scuole: in 8 regioni oltre un bambino su due non ha accesso al servizio

I dati nel dossier di Save the children, da cui emerge una sostanziale disomogeneità della situazione del servizio pasti per i bambini del nostro paese, sia per requisiti d’accesso, che per tariffe. Il 40% degli istituti scolastici ne è sprovvisto, e dove il servizio esiste ci sono gravi carenze sia riguardo i criteri d’accesso, che le modalità di erogazione.
A cura di Claudia Torrisi
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L'Italia è un paese senza mense nelle scuole: il 40% degli istituti scolastici ne è sprovvisto, e dove il servizio esiste ci sono gravi carenze sia riguardo i criteri d'accesso, che le modalità di erogazione. I dati sono stati raccolti dal rapporto "(Non) tutti a mensa!" di Save the Children, che ha effettuato un monitoraggio della proposta di refezione scolastica negli istituti primari di 45 Comuni capoluogo di provincia con più di 100 mila abitanti.

Il primo aspetto che emerge dal dossier è una sostanziale disomogeneità della situazione del servizio pasti per i bambini del nostro paese. In alcune regioni del sud Italia, infatti, un istituto su due risulta privo della mensa: il 53% in Puglia, il 51% in Campania e il 49% in Sicilia. Al nord ne è sprovvisto quasi un terzo delle scuole principali: in Veneto il 32%, in Liguria il 29%, in Lombardia il 27% e in Piemonte il 27%. Il problema, secondo Save the Children, è che dove le mense sono presenti "desta preoccupazione anche il dato sull’accesso dei bambini delle primarie e secondarie di I grado, che sottolinea maggiormente la disparità tra Nord e Sud dell’Italia". In Sicilia c'è il tasso più alto di bambini che non hanno accesso al servizio di refezione scolastica: quattro su cinque, l'80%. Dopo l'isola c'è la Puglia con il 73%, il Molise (70%), la Campania (65%), la Calabria (63%), l'Abruzzo (59%), le Marche (57%), e l'Umbria (54%). In ben otto regioni più di un alunno su due della scuola primaria non usufruisce della mensa. Dall'altro lato, in Trentino Alto Adige la percentuale scende all'11%, al 28% in Liguria, al 29% in Val d'Aosta.

Sui quarantacinque comuni analizzati, undici non garantiscono a tutti un'esenzione specifica, legata a reddito, composizione del nucleo familiare o a motivi di carattere sociale; otto prevedono questa possibilità solo dietro segnalazione dei servizi sociali; in tre (Bolzano, Padova e Salerno) non è messa in conto alcuna eccezione. Gli altri trentaquattro comuni in cui ci sono esenzioni specifiche non seguono criteri uniformi. Infine, la metà delle amministrazioni analizzate pone la residenza come requisito essenziale per le agevolazioni sulle tariffe delle mense". Secondo Raffaella Milano, direttore dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, "dall'anno scorso, alcuni comuni hanno fatto dei passi in avanti. Anche il IV Piano Nazionale Infanzia ha riconosciuto la mensa come livello essenziale delle prestazioni sociali e ha come primo obiettivo quello di garantirla gratuitamente a tutti i bambini in condizioni di povertà certificata". Tuttavia, aggiunge, "senza adeguati investimenti, il Piano rischia di rimanere lettera morta e in questo senso ancora molto rimane da fare per garantire un accesso equo ed indiscriminato alla mensa a tutti i minori, soprattutto a quei bambini che versano in condizioni di povertà estrema, che in Italia sono ben 1 milione e 131mila". Il problema delle mense ha una certa rilevanza: "Se pensiamo che il 5,6% di bambini e ragazzi – un bambino su 20 – non consuma neppure un pasto proteico adeguato al giorno, è facile comprendere quanto sia fondamentale che il servizio mensa a scuola venga garantito a tutti i bambini e che sia offerto in modo assolutamente gratuito alle fasce più disagiate, per le quali è spesso l’unico pasto completo, diventando così uno strumento di contrasto alla povertà minorile".

Ma c'è un altro aspetto legato alla presenza delle mense: quello del tempo pieno nelle scuole. Secondo Save the Children, "affiancando i dati Istat sulla dispersione scolastica, si è notato come la presenza oppure no di questi due servizi negli istituti, sia fortemente correlata alla sua incidenza". In regioni come Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, che hanno la più alta percentuale di alunni che non usufruisce del servizio mensa, infatti, la mancanza di tempo pieno e la dispersione scolastica sono più diffusi. Questo perché, spiega Milano, la mensa "non è solo un servizio, ma rappresenta uno strumento di inclusione e socializzazione per tutti i minori. Il contrasto alla dispersione scolastica passa anche da questo servizio che dovrebbe essere presente, anche per garantire il tempo pieno, in ogni scuola".

La disomogeneità nel servizio mensa in Italia si trova anche nelle tariffe. A Catania, ad esempio, la tariffa massima prevede un costo di 2,3 euro; a Taranto la stessa cifra (2,15 euro) è la minima. Per le fasce più disagiate e con tre figli iscritti al servizio mensa, ad esempio, "si riscontra che la tariffa pagata per il terzo figlio in alcuni Comuni come Bergamo e Modena, arrivi anche a superare i 4 euro. Solo 15 Comuni su 45 garantiscono l’esenzione totale dal pagamento dalla retta per il terzo figlio appartenente a questa tipologia di famiglie", si legge nel rapporto. Dall'altra parte, se una famiglia ha un unico figlio ed un ISEE di 25.000 euro a Catania, il costo della mensa è di 2,3 euro, la fascia massima prevista in questa città. Mentre la stessa simulazione per una città come Livorno, vedrà una tariffa di ben 6,71 euro. Infine, in 17 comuni su 45 è prevista una retta superiore ai 100 euro al mese per famiglie con un figlio unico e un reddito più alto – in media 5 euro a pasto; a Bergamo e Forlì circa il 100% del costo è a carico delle famiglie; a Siracusa, Reggio Calabria e Andria, le famiglie coprono rispettivamente solo il 20%, 31% e 32% della spesa. Secondo il dossier, "in tutti i Comuni intervistati sono previste riduzioni tariffarie, ma sono applicate in maniera totalmente varia. Quaranta Comuni su quarantacinque applicano le agevolazioni su base economica, ponendo ognuno una soglia ISEE differente; 35 Comuni  modulano le tariffe anche a seconda della composizione familiare; 13 Comuni anche sulla base di disagi sociali o segnalazione dei servizi; infine 4 Comuni riducono la tariffa anche per i nuclei familiari con disabilità". Queste differenze di tariffe e di accesso in alcuni casi hanno portato le famiglie ad "autoescludere i propri figli dal servizio e a provvedere in autonomia al pasto dei bambini". 

Save the Children, infine, denuncia come nell'ultimo periodo si sia assistito al "proliferare di cattive prassi dei Comuni relative alla esclusione dalla refezione scolastica dei bambini figli di genitori in ritardo con i pagamenti. Su 45 Comuni, 9 hanno confermato la sospensione del servizio mensa per quei bambini che provengono da famiglie in situazione di morosità, mentre gli altri 36 non si rivalgono sugli alunni in caso di insolvenza, ma attivano una procedura di recupero crediti senza la sospensione del servizio". Queste disparità di trattamento, secondo Antonella Inverno, Responsabile Policy e Law di Save the Children, possono "causare effetti discriminatori sui bambini. Il criterio della residenza per esempio, spesso penalizza famiglie che vivono nei dintorni delle città e che sono meno abbienti. Inoltre, la risposta delle amministrazioni di fronte ai genitori in ritardo con i pagamenti, anche questa totalmente disomogenea, spesso stigmatizza ed esclude i bambini le cui famiglie non hanno avuto la possibilità di pagare la retta, in totale contraddizione con le finalità educative e sociali della mensa stessa". Per far in modo che le opportunità di accesso alla mensa siano uguali per tutti i bambini italiani, secondo l'organizzazione è necessario "un serio investimento": "Per questo Save the Children preme perché siano attivate tutte le risorse necessarie, a partire da quelle destinate alle zone che ne necessitano maggiormente". Nonostante le continue sollecitazioni, però, "a distanza di due anni le risorse del Fondo europeo di aiuto agli indigenti – FEAD non sono ancora state spese".

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