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Niente mantenimento al figlio che viene bocciato agli esami: lo dice la Cassazione

Una recentissima ordinanza emanata dalla Suprema Corte afferma che è possibile negare il mantenimento al figlio che non supera gli esami e dunque non è economicamente indipendente non per cause esterne ma per condotte sleali da lui messe in atto.
A cura di Charlotte Matteini
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Bisogna mantenere i figli che vengono ripetutamente bocciati? Secondo la Corte di Cassazione no, non ne hanno diritto. Stando a una recentissima ordinanza della Suprema Corte, nonostante la legge preveda l'obbligo di mantenimento anche oltre i 18 anni – ovvero fino al raggiungimento della piena indipendenza economica – è possibile negare il mantenimento al figlio che non supera gli esami. Il caso concreto esaminato dalla Corte e riportato dal portale specializzato "La legge per tutti" analizzava la richiesta di un padre che, avendo iscritto il figlio a una scuola privata per avviarlo a un'attività imprenditoriale, si è poi rifiutato di continuare a mantenerlo proprio perché il ragazzo veniva ripetutamente bocciato agli esami. Secondo i supremi giudici, infatti, il genitore si libera dall'obbligo di mantenimento nel momento in cui si verifica una delle seguenti circostanze:

  • il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica
  • è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però approfittato per sua colpa o per sua scelta.

In sostanza, dunque, i genitori sono tenuti a mantenere per legge i propri figli anche dopo il compimento della maggiore età se questi non possono considerarsi indipendenti dal punto di vista economico causa contingenze esterne e non per situazioni provocate da una loro oggettiva mancanza. L’obbligo viene meno in numerose circostanze: quando i figli iniziano un’attività lavorativa che consente loro di mantenersi, che non deve essere per forza un impiego lavorativo full time, ma anche un semplice part time, che non sia però precario o occasionale. L’obbligo del mantenimento viene meno anche se la mancata occupazione deriva da "inerzia, rifiuto o abbandono ingiustificato del lavoro stesso da parte del figlio". Il figlio maggiorenne, quindi, perde il diritto al mantenimento nel momento in cui rimane disoccupato, quindi non indipendente dal punto di vista economico, non a causa di fattori esterni ma di condotte sleali che mette in atto, come il rifiuto di svariate offerte e l'abbandono di posti di lavoro.

Affinché decada l'obbligo di mantenimento, "il genitore deve dimostrare che il figlio è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta. Tale valutazione viene fatta dal giudice tenendo conto delle aspirazioni, del percorso scolastico, universitario e post universitario del figlio e la situazione attuale del mercato del lavoro con specifico riguardo al settore nel quale esso ha indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione. Se il figlio non ha terminato gli studi e ha immotivatamente rifiutato un’offerta di lavoro anche se fuori sede non ha diritto al mantenimento, lo stesso dicasi per il figlio in forte ritardo con gli studi universitari che rifiuta ingiustificatamente un posto di lavoro".

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