Lo confessiamo: per un attimo ci eravamo illusi. Nel vedere Vendola, Bersani e Di Pietro sorridenti ed affiatati nel momento più basso della parabola berlusconiana, ci eravamo quasi convinti che fosse "la volta buona", che ci fossero le condizioni per avviare un progetto alternativo e condiviso che riuscisse ad ottenere il consenso degli elettori. In quei giorni persino il tema della leadership sembrava un problema secondario. In quei giorni finanche le differenze sostanziali e le divisioni interne sembravano poter essere superate in nome "di uno scopo più alto e nobile". Per la verità, l'ormai scolorita foto di Vasto non aveva resistito nemmeno ai primi refoli di vento, e tra mosse strategiche e interessi di bottega, conversioni e appelli alla responsabilità, il centrosinistra era riuscito nel capolavoro tattico di arrivare "in piena confusione" al momento cruciale delle dimissioni berlusconiane.
I colpi dello spread, la spinta delle istituzioni europee e le scelte "opportune" di Napolitano avevano fatto il resto. Risultato? Una transizione per nulla morbida affidata ad un Governo tecnico (?) che, a conti fatti, ha messo il centrosinistra e nello specifico il Partito Democratico nella peggior situazione possibile, come evidenziato anche dal cammino parlamentare del decreto salva Italia. E non traggano in inganno i sondaggi, che mostrano una tenuta delle forze "responsabili", dal momento che, come insegnano gli analisti di settore, per una compiuta valutazione del consenso è necessario che si diradi "la foschia dell'emergenza e della coesione nazionale". E così, mentre il PD è costretto a difendere sul territorio e tra i propri elettori una manovra iniqua e probabilmente insufficiente, l'Italia dei Valori sceglie la linea del dissenso, sistemandosi all'opposizione del "Governo delle banche" (assieme alla Lega Nord tornata alle origini ridicolo – populiste) e rompendo definitivamente l'asse del centrosinistra.
Ovviamente sulla questione è intervenuto anche Nichi Vendola che, pur avendo la "fortuna" di non avere rappresentanti in Parlamento (e dunque potendo limitarsi ad un generico "dissenso" nel merito dei provvedimenti), rischierebbe di essere tagliato fuori da una eventuale convergenza al centro dei democratici e allo stesso tempo di rinunciare all'idea di "infrangere il luogo comune secondo il quale la cosiddetta “sinistra radicale” sarebbe poco incline ad assunzioni di responsabilità" in momenti di grande difficoltà per il Paese. In una intervista a L'Unità il leader di Sel in effetti prende atto della situazione venutasi a creare, provando anche a "scavalcare" lo strappo di Di Pietro:
Non c’ è più la foto di Vasto, ma a Bersani chiedo se davvero non ci interessa più definire un’orizzonte di cambiamento, un’alternativa di governo per oltrepassare il berlusconismo. Non ci interessa più quell’elettorato di Di Pietro che è un pezzo di centrosinistra e confrontarci con la rete dei sindaci che sta nascendo attorno a De Magistris? Nell’evo che ha preceduto il governo Monti non solo il centrosinistra era dato vincente nei sondaggi, ma aveva vinto a nelle sfide più importanti come Milano. Ma era il centrosinistra del cambiamento, non genuflesso che si comporta come un chierichetto nei confronti dei poteri costituiti.
Un tentativo, quello di rilanciare l'asse con Bersani, evidenziato anche dal passaggio sull'articolo 18, con un apprezzamento per le dichiarazioni di Bersani che ha il sapore dell'invito alla discussione e soprattutto alla condivisione di un percorso e al rilancio di un progetto comune. Ma il vero "pericolo" per il leader di Sel resta appunto un ipotetico schiacciamento di parte del Pd sulle posizioni del Governo Monti, una prospettiva nemmeno troppo lontana a leggere le puntuali considerazioni di Stefano Menichini, direttore di Europa:
Bersani non perde occasione per ribadire che il Pd è altra cosa e ha altri programmi rispetto a Monti. La realtà quotidiana però è di relazioni frequenti e poi c’è quel fatto ineludibile: nell’agenda di Monti, Fornero, Passera, Barca, Riccardi, Profumo stanno confluendo anni e anni di elaborazione riformista. L’intesa politica col Pd non è certo facile ma il linguaggio è comune.
Una prospettiva che il Governatore della Puglia avverte estremamente concreta, tanto da lanciare quello che è il messaggio più forte alla leadership democratica:
(Il pericolo) è l’immagine, coltivata anche da esponenti del Pd, del governo Monti non come governo d’emergenza che gestisce questa fase eccezionale con un timbro palesemente conservatore, ma come governo con un carattere costituente che allude al sistema politico e sociale del futuro. Perché su questo terreno non esisterebbe più il centrosinistra e io sarei all’opposizione.
Insomma, dalla comunanza di vedute, ai buoni consigli, agli avvertimenti fino agli ultimatum: la guerra di posizione nel centrosinistra italiano non è ancora finita e ha sempre più il sapore di un valzer sul Titanic che affonda.