Nessuno ha pagato per le torture della Diaz
Dopo quattordici anni dalla notte del 21 luglio 2001, la Corte europea dei diritti dell’uomo l’ha detto a voce alta: ciò che è successo alla scuola Diaz di Genova si chiama tortura. Strasburgo ha condannato l’Italia per le violenze contro Arnaldo Cestaro – il manifestante che ha presentato il ricorso – e anche per la “risposta inadeguata” del nostro paese “tenuto conto della gravità dei fatti avvenuti alla Diaz”. I giudici, oltre all’assenza nell’ordinamento del reato di tortura, lamentano il fatto che “la polizia italiana ha potuto impunemente rifiutare alle autorità competenti la necessaria collaborazione per identificare gli agenti che potevano essere implicati negli atti di tortura” e che alla fine del procedimento penale nessuno ha pagato per i pestaggi a Cestaro e agli altri manifestanti. All’operazione alla scuola Diaz avevano partecipato 400 uomini, la maggior parte non identificabili.
Ben prima della sentenza di Strasburgo, i giudici della Corte di Cassazione nel 2012 hanno scritto che l’operazione alla Diaz ha “gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero”. Ma la verità è che, nonostante i processi, per quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti umani dopo la seconda guerra mondiale” nessuno ha pagato.
Il processo di primo grado si è concluso nel 2008, con 13 condanne e l’assoluzione dei funzionari di grado più alto. Le accuse erano di lesioni – così vennero qualificati i pestaggi a manifestanti inermi – falsificazioni dei verbali – per lo più relativi al finto ritrovamento di molotov nella scuola o a presunte sassaiole e resistenza violenta dei presenti nella scuola – e arresto arbitrario. In appello, nel 2010, invece, le condanne sono state 25, comprendevano anche l’interdizione dai pubblici uffici, e hanno colpito anche gli alti funzionari di polizia. Il procedimento è poi arrivato in Cassazione solo il 26 novembre del 2011, a causa di ritardi e lungaggini delle operazioni di notifica, mentre scorrevano i termini per la prescrizione, tra i timori e le proteste. Nel luglio 2012, l’ultimo grado di giudizio ha confermato le condanne per falso aggravato, mentre i reati di lesioni e arresto arbitrario sono stati dichiarati prescritti. Per i giudici di Strasburgo, di fronte al reato di tortura la legge deve escludere l’intervento di “prescrizione, amnistia, grazia”. Ma in Italia il reato di tortura al momento continua a mancare.
Tra l’altro, nessuno dei colpevoli per falso aggravato è andato in carcere: destinatari di pene tra i 4 anni e i tre anni e 8 mesi, hanno beneficiato tutti dello sconto di tre anni dell’indulto del 2006. I colpevoli sono rimasti praticamente impuniti, trascorrendo pochi mesi agli arresti domiciliari.
Per i condannati, la Cassazione ha confermato le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Nel ricorso presentato alla Corte, Cestaro lamentava che i responsabili delle violenze nei suoi confronti non erano stati sanzionati in maniera adeguata – a causa di prescrizione e indulto – e “l’assenza di sanzioni disciplinari” verso agenti e dirigenti coinvolti. Fino all’intervento della sentenza definitiva, infatti, l’aver reso dichiarazioni false per giustificare la macelleria messicana non ha creato troppi problemi lavorativi ai vertici della polizia. Alcuni di loro, anzi, fino all’interdizione hanno accumulato promozioni su promozioni. Nessuno ha mai sollevato il dubbio se, dopo le condanne di primo e secondo grado, fosse opportuno rimuovere gli imputati dai loro incarichi.
Francesco Gratteri, che nel 2001 era direttore Servizio Centrale Operativo (Sco), è stato prima promosso nel 2005 questore di Bari, poi capo della Direzione Centrale Anticrimine (DCA). Allo Sco nel 2001 era anche Gilberto Caldarozzi, che da vicedirettore, con l’abbandono di Gratteri, ne è diventato direttore. Giovanni Luperi, invece, ai fatti di Genova era vicedirettore dell'Ugicos (Ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali), ma nel 2007 è passato a capo del dipartimento analisi dell'Aisi, ex Sisde; Fabio Ciccimarra da commissario capo di Napoli era approdato nel 2011 a capo della mobile di L’Aquila; mentre Filippo Ferri, a capo della Squadra Mobile di La Spezia nel 2004 si è spostato a dirigere quella più prestigiosa di Firenze. Nando Dominici, ex dirigente squadra mobile Genova, nello stesso anno del G8 è passato a vice questore vicario della Questura di Brescia, per poi giungere nel 2008 al ruolo di dirigente della Polfer di Verona e del Trentino Alto Adige. Spartaco Mortola, invece, da dirigente Digos è diventato vice-questore vicario e capo della Polfer a Torino. Vincenzo Canterini, infine, comandante dei “celerini” romani, accusato di concorso in lesioni – prescritto – falso e calunnia, è diventato questore.
Ma la Diaz ha continuato a “portare fortuna” anche dopo la sentenza della Cassazione: nel 2013 Ferri è stato nominato dal Milan in qualità di tutor di Mario Balotelli, “con il compito di seguirlo fuori dal campo e placarne eventuali comportamenti”. Lo scorso gennaio, invece, Caldarozzi è stato chiamato per una consulenza nel settore sicurezza dal Gruppo Finmeccanica, presieduto da Gianni De Gennaro, che nel 2001 a Genova era capo della Polizia. Mentre era inquisito – poi assolto in primo grado, condannato in appello e nuovamente assolto in Cassazione – con l’accusa di aver indotto una falsa testimonianza in un procedimento sull’assalto alla Diaz, De Gennaro è diventato prima capo di Gabinetto del ministro dell’Interno, poi super commissario per l’immondizia a Napoli e capo del coordinamento Servizi segreti. Nel 2013 è stato nominato dal governo Letta presidente di Finmeccanica (e, stando alle ultime dichiarazioni di Matteo Renzi, pare destinato a restarci).
Gli agenti che materialmente pestarono i manifestanti – per cui il reato è stato prescritto – invece, sono stai reintegrati, dopo una sospensione di pochi mesi. È stato l’unico provvedimento disciplinare noto messo in atto dal ministero dell’Interno.
All’indomani della notte cilena della Diaz sono stati messi in atto depistaggi, calunnie e vere e proprie menzogne – fino alla negazione dell’evidenza nel comunicato finale letto alla stampa in questura dove si definiscono "pregresse" le ferite dei manifestanti arrestati – per giustificare l'ingiustificabile. Queste operazioni e chi le ha condotte hanno sempre goduto di una certa copertura dai governi che si sono succeduti dal 2001 in poi. O, quanto meno, di un testardo beneficio del dubbio.
Nessuno ha pagato. Qualcuno adesso dovrà chiedere scusa.