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Nelle coppie di fatto assistere l’ex anche dopo la separazione è un dovere morale: lo dice la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che le spese sostenute per il sostegno dell’ex convivente rientrano nell’obbligazione naturale e non devono essere restituite. Di fatto, quindi, si riconosce un dovere morale anche dopo la fine della convivenza.
A cura di Francesca Moriero
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Nel contesto delle unioni di fatto, spesso emerge la questione dei diritti e dei doveri reciproci tra i conviventi, specialmente quando il legame affettivo giunge al termine. In questo scenario, la Corte di Cassazione ha recentemente affrontato un caso che ha aperto un nuovo capitolo nella giurisprudenza italiana, riconoscendo un dovere di assistenza morale e materiale anche dopo la cessazione della convivenza.

Per la prima volta, infatti, la Corte ha stabilito che le somme spese per il sostegno dell’ex convivente non devono essere restituite, in quanto rientrano nell’ambito di un’obbligazione naturale. Questa decisione, che ha suscitato un ampio dibattito, offre un’importante riflessione sulle dinamiche di supporto tra persone che, pur non legate da vincoli matrimoniali, hanno condiviso una parte significativa della propria vita.

L’impegno nelle unioni di fatto: un nuovo principio giuridico

Le unioni di fatto comportano un impegno morale e sociale di sostegno reciproco, anche dopo la fine del legame affettivo. La Corte di Cassazione ha stabilito, per la prima volta, che le spese sostenute per aiutare economicamente l’ex convivente non devono essere restituite, poiché si considerano parte di un “obbligo naturale”. In un caso specifico, un ragazzo aveva chiesto al fratello maggiore di restituire quanto speso dalla madre per il mantenimento del padre dopo la fine della convivenza.

La Cassazione ha respinto la richiesta, affermando che anche dopo la fine della relazione, esiste ancora un impegno morale di assistenza. Anche se non esistono precedenti su questa specifica questione, i giudici hanno deciso di ampliare il concetto di responsabilità, riconoscendo che le unioni di fatto sono sempre più diffuse: questo "fenomeno sociale", infatti, nonostante sia recente, come sottolineato dalla Corte costituzionale, sta superando in numero le famiglie ‘tradizionali' basate sul matrimonio.

Il dovere di assistenza anche dopo la fine della relazione è in linea con la visione sociale moderna della famiglia e si configura come un “obbligo naturale”, come definito dall’articolo 2034 del Codice civile. La Corte ha ritenuto quindi giusto che il contributo fornito dall'ex compagna per il mantenimento del padre del figlio fosse un adempimento di un dovere morale, riconoscendo l’importanza del ruolo che quella persona "ha avuto sicuramente nella sua vita".

Unioni civili e convivenze di fatto

La Cassazione ha ricordato che la concezione della famiglia come entità pluralistica è stata rafforzata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e ha trovato un fondamento legislativo nella legge n. 76 del 2016, la cosiddetta legge Cirinnà. Questa legge ha introdotto due modelli: l’unione civile per le coppie formate da persone dello stesso sesso e la convivenza di fatto, che riguarda tutte le coppie, senza distinzione di orientamento sessuale. La legge ha superato la rigidità nelle tutele, introducendo una regolamentazione più flessibile.

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