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Nelle carceri italiane gli psicofarmaci sono ormai diventati un “mezzo di disciplina”

Un recente rapporto dell’Oms ha analizzato le condizioni di salute dei detenuti di tutta Europa. Per l’Italia, però, c’erano pochissimi dati disponibili. L’associazione Antigone ha spiegato a Fanpage che i numeri sulle carceri sono sparsi e disorganizzati: quando si prova a metterli in ordine, emergono diversi problemi.
A cura di Luca Pons
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L'Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato un rapporto sullo stato di salute delle persone detenute in carcere in Europa. Dall'analisi dell'Oms emergono diversi elementi interessanti ma scorrendo negli allegati, e in particolare tra le schede di ciascun Paese preso in esame, si nota una cosa: la parte sull'Italia è quasi del tutto vuota.

La pagina dedicata al numero di detenuti diagnosticati che hanno ricevuto una terapia è completamente vuota, e anche quella sullo stato di salute indica solo il numero di infetti da Covid-19 e quello di persone con dipendenze da sostanze stupefacenti. Tutte le altre caselle sono "missing" (dato mancante). Michele Miravalle, ricercatore che cura i rapporti dell'associazione Antigone sul carcere in Italia, ha spiegato a Fanpage.it il perché di questa mancanza.

La scheda dell'Italia nel rapporto Oms sulla salute dei detenuti
La scheda dell'Italia nel rapporto Oms sulla salute dei detenuti

Le informazioni sono sparse e nessuno ha un quadro completo

"Avere i dati a livello nazionale non è semplice. Dal 2010 la sanità penitenziaria dipende dalle Regioni, quindi purtroppo manca una regia centrale. Organismi come la conferenza Stato-Regioni dovrebbero garantire una raccolta dati centrale, ma il fatto che siano così frammentati lo rende tremendamente complesso. C'è il lavoro fatto dal Garante per i detenuti, che nella relazione annuale al Parlamento sintetizza alcuni dati. E anche noi come Antigone, in modo indipendente, abbiamo provato a  farlo. Però la difficoltà rimane", ha spiegato Miravalle.

Insomma, dei dati chiari, ufficiali e centralizzati sulle condizioni di salute delle persone detenute in Italia non ci sono. Sul perché l'Italia non abbia risposto all'Oms "posso solo fare ipotesi", ha specificato Miravalle. "Da parte mia, sia come Antigone che come ricercatore universitario, tutte le volte che ho dovuto lavorare sulla sanità in carcere il 99% della fatica di ricerca è nel reperimento e raccolta dei dati. Sono troppo frammentati. Il problema è che poi le riflessioni politiche che fai si basano solo sulle percezioni, e non su dati".

Cosa raccontano i dati, quando ci sono: gli psicofarmaci come strumenti di "disciplina" in carcere

Dai dati che Antigone raccoglie – e che l'Oms, ad esempio, non ha potuto vedere – cosa emerge sulle carceri in Italia? Un settore particolarmente sensibile è quello della salute mentale: "È diventata un po' la nuova emergenza del sistema penitenziario italiano. Oggi in qualsiasi carcere – che sia un grande carcere metropolitano o un piccolo carcere di una provincia del Sud – il direttore, il comandante e il medico (ammesso e non concesso che ci sia) ti dicono "Abbiamo un problema di gestione delle psicopatologie"".

Ad esempio, "colpisce il ruolo che lo psicofarmaco ha all'interno del carcere", per Miravalle. Secondo i numeri dell'associazione ("che possono anche non essere precisissimi, ma un certo rigore metodologico ce l'abbiamo, sono dati che emergono dalle visite e parlando con i medici, non campati per aria") circa il 40% della popolazione carceraria italiana assume psicofarmaci di qualche tipo.

Complessivamente, si parla di "circa 25mila persone". Dall'altra parte, quante di queste persone hanno una effettiva diagnosi di patologia psichiatrica? "Secondo dati del Garante dei detenuti, meno di 500 in tutta Italia". Un numero "incredibilmente basso", anche perché si tratta solo dei casi in cui dalla diagnosi psichiatrica deriva una qualche decisione del giudice. Il numero stimato da Antigone con il suo osservatorio arriva fino a 7mila persone. Anche così, vorrebbe dire che meno di una persona su tre che assume psicofarmaci ha un'effettiva diagnosi.

"Com'è possibile? Probabilmente perché lo psicofarmaco nel carcere non ha un ruolo curativo, di terapia, ma un ruolo che si può definire di ‘disciplina', strumenti di governo", ha spiegato Miravalle". "Servono forse a controllare una popolazione che sta male, anche per le condizioni ambientali in cui vive, e che altrimenti sarebbe potenzialmente esplosiva".

Anche la Corte costituzionale non è riuscita a farsi dare una risposta

Come detto, avere dati completi sulla sanità in carcere non è solo uno sfizio statistico: "Il problema non è ‘non sapere' quante persone hanno una certa patologia o seguono una certa terapia. Il problema è non sistematizzare quei dati, organizzarli, e usarli per decidere di conseguenza".

Un esempio paradigmatico è quello delle Rems (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza), strutture sanitarie che accolgono persone che hanno commesso reati, affette da disturbi mentali e socialmente pericolose. Una delle caratteristiche delle Rems è che hanno un numero massimo di posti (20 a struttura) che non si può mai superare, per legge. Così si evita il sovraffollamento, ma si creano delle liste d'attesa.

"Nel 2022″, ha spiegato Miravalle, " la Corte costituzionale è stata chiamata a dire se sia legittimo che ci sia una lista d'attesa, e quindi che delle misure penali non vengano eseguite per mancanza di posti". Prima di arrivare alla sentenza, la Corte "ha chiesto dei dati al ministero della Giustizia e al ministero della Salute, per sapere quanto fossero consistenti le liste d'attesa". E i ministeri "hanno risposto con due dati diversi. Ma sensibilmente diversi. E il dato del Garante dei detenuti era ulteriormente diverso".

Questo rende chiaro quanto "la mancanza di una raccolta dati completa significhi anche una maggior fatica a focalizzare i problemi e a trovare soluzioni". Alla fine, "la Corte ha stabilito che la lista d'attesa non è incostituzionale, ma ha aggiunto nelle motivazioni che ‘dopodiché, ci sono alcuni dati che non coincidono, boh‘. E parliamo della Corte costituzionale, non il piccolo ricercatore indipendente".

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