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Opinioni

Nell’anno del ritorno della guerra in Europa potevamo fare a meno della parata militare del 2 giugno

Oggi la parata militare nel giorno della Festa della Repubblica. Traduzione restaurata qualche anno fa che sarebbe ora di interrompere e che oggi, che la guerra è tornata in Europa, appare più che mai fuori luogo.
A cura di Valerio Renzi
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Ripartiamo da dove eravamo rimasti esattamente un anno fa, quando la parata militare del 2 giugno era stata annullata per il secondo anno di fila a causa della pandemia. Anche se l'autocitazione è sempre quasi inelegante, in quell'occasione chi scrive faceva una modesta proposta: prendere lo spartiacque rappresentato dal Covid per mettere "fine a un’esibizione di militarismo e retorica nazionalista", per far sfilare al posto di soldati a passo dell'oca e mimetiche "la Repubblica della Pace, quella della Costituzione che ripudia la guerra".

Dodici mesi dopo l'agenda politica e il dibattito pubblico ci appaiono stravolti, tanto da far suonare sospette parole che prima a molti potevano apparire di buon senso. L'esperienza collettiva della pandemia ha fatto balenare come desiderabile una trasformazione sociale orientata alla cura e una maggiore redistribuzione della ricchezza, una nuova centralità del pubblico e la riconversione ecologica. L'invasione russa dell'Ucraina, l'irrompere della guerra in Europa, hanno radicalmente modificato l'orizzonte.

Oggi non sfilerà lungo via dei Fori Imperiali la Repubblica della Pace, ma vedremo di nuovo i reggimenti tirati a lucido. Eppure oggi più che mai una parata militare appare fuori luogo, mentre le bombe cadono e uccidono, quando milioni di uomini e donne hanno perso la propria casa, nel momento in cui la diplomazia e le istituzioni internazionali appaiono disarmate, proprio in questo momento sarebbe importante dare un segnale diverso, perché anche i simboli sono importanti. Ma nel dibattito italiano così militarizzato guai a dire qualcosa contro l'aumento delle spese militari, che si è subito sospetto di intelligenza con il nemico.

Perché invece della marcia dei bersaglieri non possiamo incontrare per la Festa della Repubblica gli uomini e le donne in fuga dalla guerra, a cominciare dai profughi ucraini e dalla comunità di connazionali che da anni vive nelle nostre città? E assieme a loro i siriani, gli yemeniti e via discorrendo? Perché non discutere di guerra e politica internazionale? Avrebbero forse molto più da dire di tanti commentatori più o meno improvvisati che alimentano l'informazione dei talk.

Nelle ultime settimane in molti hanno ricordato la figura di Eugenio Melandri, missionario e poi politico italiano, una vita dedicata alla pace e agli oppressi, che negli anni Ottanta promosse dopo tante battaglie una campagna per il disarmo unilaterale. Di cosa parliamo lo potete leggere qui. Melandri descriveva la sua proposta come quella di un'utopia possibile:

Confessiamolo subito, allora, noi siamo qui perché abbiamo un grande sogno e perché non abbiamo accettato e non accettiamo che il nostro sogno di pace venga castrato dalle tenaglie del cosiddetto realismo politico. Siamo qui perché abbiamo ancora la capacità di avere delle visioni: «E vidi un nuovo cielo e una nuova terra… e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né pianto perché le cose di prima sono passate» (Ap. 21,1-4). Perché dobbiamo dare per ineluttabile che la guerra continui, che le armi siano indispensabili, che non ci possa essere altra soluzione ai conflitti che la violenza? Perché non pensare che sia possibile costruire un mondo su basi diverse, umane? Perché non cominciare ad agire e ad operare come se questo mondo che – almeno potenzialmente – è nelle aspirazioni di tutti già fosse totalmente presente?

Dare alla festa della Repubblica, che dovrebbe essere la festa della nostra democrazia, un segno diverso, sarebbe un buon inizio. 

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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