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Negozi chiusi la domenica, la battaglia tra fazioni che non tiene conto di diritti e libertà dei lavoratori

Ancor più del tema sociale della “domenica libera da passare in famiglia”, che discrimina tutte quelle persone che da sempre lavorano su turni 7su7 come i baristi e i camerieri, il dibattito sulle aperture domenicali e festive dei negozi dovrebbe giocarsi sul terreno del rispetto dei diritti dei lavoratori, delle tutele, con accurati controlli che vadano a verificare se effettivamente il contratto nazionale viene applicato con tutti i crismi.
A cura di Charlotte Matteini
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A distanza di qualche anno dall'entrata in vigore delle liberalizzazioni del governo Monti – che hanno permesso agli esercenti di tenere aperti i propri negozi sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro, festivi compresi – si torna a discutere della regolamentazione delle aperture domenicali e durante le feste comandate. Complici in particolare due proposte di legge avanzate dagli onorevoli Davide Crippa del Movimento 5 Stelle e Barbara Saltamartini della Lega, in questi giorni il tema è tornato al centro del dibattito pubblico. Le proposte mirano a porre un argine alle aperture straordinarie annuali degli esercizi commerciali, quella del Movimento 5 Stelle ne permetterebbe circa 12 all'anno con rotazione al 25% decisa da esercenti e sindaci mentre quella della Lega punta a concedere massimo 8 aperture annuali, concentrate soprattutto nel mese di dicembre. Due gli schieramenti contrapposti: da una parte i sostenitori delle aperture indiscriminate, capitanati da Pd e Forza Italia, dall'altra i detrattori delle liberalizzazioni selvagge, guidati da Lega e Movimento 5 Stelle.

Da anni in Italia i negozi possono rimanere aperti sempre, senza restrizione alcuna, anche nei cosiddetti giorni "superfestivi" come Natale, Pasqua, Capodanno, Ferragosto e da anni, all'avvicinarsi delle feste comandate, l'opinione pubblica e la politica dibattono sul tema. Sul piatto della bilancia sostanzialmente sono due le motivazioni addotte dai contrari alle aperture domenicali e festive: da un lato le famiglie hanno il diritto di godersi le domeniche libere in famiglia e con i propri cari, dall'altro lato le liberalizzazioni Monti hanno portato mediamente un abbassamento della qualità della vita dei lavoratori della Gdo e del commercio senza apportare tutti quei benefici promessi all'approvazione della legge.

I sostenitori delle aperture festive, dall'altro lato, sottolineano che re-introdurre una regolamentazione del settore provocherebbe solamente dei danni, con la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro e nessun vantaggio reale per gli addetti, ma soprattutto che questo tipo di normativa sia anacronistica, una sorta di "ritorno al Medioevo" da paese non all'avanguardia non al passo con i tempi e con le dinamiche di un mondo globalizzato (anche se, a ben vedere, in Europa solo l'Italia ha in vigore una normativa totalmente priva di restrizioni e regolamentazioni, ndr).

In passato sono stata una forte sostenitrice delle liberalizzazioni di Monti, successivamente ho cambiato parzialmente idea perché la questione è molto più complessa di quanto appare e analizzandola in maniera oggettiva, senza tener conto dello scontro ideologico tra fazioni, si può sostenere che in realtà entrambi gli schieramenti pongono quesiti e problematiche che meritano di essere approfondite: da un lato è sicuramente vero che la regolamentazione delle aperture festive e domenicali potrebbe provocare disagi ai cittadini, ormai abituati ad avere i negozi in attività 7 giorni su 7 e spesso 24 ore su 24, ma dall'altro lato è anche vero che gli addetti del settore non godono affatto di reali tutele contrattuali, tra riposi saltati e straordinari e festivi che solo sulla carta sono volontari ma che molto spesso diventano nei fatti obbligatori e imposti senza possibilità di mediazione.

Ancor più del tema sociale della "domenica libera da passare in famiglia", un vessillo pressoché vetusto, questo sì, ma soprattutto discriminatorio perché non tiene conto delle decine di categorie di lavoratori che da sempre lavorano su turni 7 su 7, come ad esempio i baristi, i camerieri di sala, gli addetti del cinema, gli operatori che lavorano in albergo, i receptionist, senza contare i poliziotti, i medici, gli infermieri, i pompieri, gli autisti, i giornalisti, i farmacisti, i benzinai, i casellanti e chi ne ha più ne metta. Il diritto al tempo libero nel weekend vale solo per certe categorie di lavoratori? Francamente, non credo ci sia qualcuno capace di sostenere questo assunto.

La partita, più che sulla regolamentazione delle chiusure domenicali e festive disposte per legge, dovrebbe giocarsi sul terreno del rispetto dei diritti dei lavoratori, delle tutele, del miglioramento delle attuali condizioni contrattuali inadeguate, con accurati controlli che vadano a verificare se effettivamente il contratto nazionale viene applicato con tutti i crismi, se effettivamente i lavoratori riescono a recuperare il mancato riposo, se effettivamente – e questo accade raramente – il lavoro festivo e domenicale è volontario e a rotazione e viene retribuito di più rispetto a un normale giorno feriale, se effettivamente chi si rifiuta non viene sottoposto a subdole ripercussioni da parte del datore di lavoro.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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