Aggiornamento 29 giugno: Con un post pubblicato sul suo blog, Grillo ha ufficializzato la rottura con Conte. Lo ha fatto nel modo più drastico possibile, evitando di prendere in considerazione il voto sul nuovo Statuto e indicendo una votazione per eleggere il nuovo direttivo (peraltro, dopo averlo mandato alla guerra con Davide Casaleggio, ha annunciato che il voto del prossimo direttivo si terrà su Rousseau). Il giudizio su Conte, poi, è stato tranchant: "Mi dispiace, non potrà risolvere i problemi del Movimento, perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione. Io questo l’ho capito, e spero che possiate capirlo anche voi”.
La conferenza stampa al Tempio di Adriano ha certificato quello che da giorni si sussurrava: Giuseppe Conte e Beppe Grillo sono a un passo dalla rottura. Il cammino che avrebbe dovuto portare l’ex Presidente del Consiglio alla guida del Movimento 5 Stelle si è interrotto di colpo, a causa di “diversità di vedute su aspetti fondamentali”. Lo ha spiegato lo stesso Conte, limitando per una volta le frasi di prammatica e arrivando a sfidare al voto degli iscritti proprio lui, l’Elevato, il co-fondatore e garante, Beppe Grillo. Domani, infatti, sarà diffuso il testo del nuovo Statuto su cui Grillo ha sollevato profonde obiezioni, che Conte vorrebbe sottoporre al voto degli iscritti, vincolandone l’approvazione ad ampia maggioranza alla sua presenza all’interno del M5s. Un vero e proprio ultimatum, insomma, che Grillo difficilmente considererà ricevibile, soprattutto perché l'ex Presidente del Consiglio giocherebbe la partita da una posizione di vantaggio: un referendum in cui le alternative sono fra la sua guida e il disfacimento di un partito già ai margini dello scacchiere politico italiano. Decidere tra Conte e il caos sarebbe evidentemente troppo semplice.
Ecco, quello che invece non è semplice è riassumere cosa sia andato storto in queste settimane, ovvero come si sia passati da Conte "leader scelto da Grillo" al sostanziale "o io o lui" di queste ore. Sarebbe banale pensare vi sia solo un equivoco di fondo, una diversa aspettativa sul ruolo del capo politico in grado di complicare o addirittura cancellare la transizione di potere tra il professore e il reggente Vito Crimi. Le cose sono molto più complicate.
Conte considera l’esperienza del Movimento 5 Stelle al capolinea e ritiene che sia giunto il tempo di una “profonda ristrutturazione”, in modo da cancellare quelle “ambiguità” (parola che ha ripetuto in modo ossessivo in conferenza stampa) che lo hanno accompagnato dalla sua nascita fino alla guida del Paese. A essere ambigua è prima di tutto la figura di Beppe Grillo, “che non ha ancora deciso se fare il genitore premuroso o quello padrone” e che non intende stravolgere la struttura del M5s bensì concedere solo “moderati aggiustamenti”. Una prospettiva inaccettabile per Conte, che non può essere un leader dimezzato, paralizzato da regole farraginose e limitato nella propria agibilità politica, per giunta in un momento molto complesso, con il mezzo sostegno al governo Draghi (che si traduce in irrilevanza), l’inevitabile diminuzione della rappresentanza parlamentare alle prossime elezioni e una collocazione politica tutta ancora da costruire. È la diarchia, dunque, il primo problema di Conte, l’impossibilità di immaginarsi alla guida del M5s con l’ombra di Grillo pronta ad allungarsi su qualunque ambito o progetto. In tal senso non bastano le buone intenzioni, non bastano le rassicurazioni dei pontieri sulla libertà di azione che il comico genovese avrebbe assicurato di voler garantire al professore: è già successo in passato che Grillo esondasse, intervenendo a gamba tesa nella gestione interna ed esterna del Movimento, nulla lascia pensare che questa volta possa essere diverso. Anzi, il discorso tenuto ai gruppi parlamentari ha confermato i timori dei contiani: lui non si sente semplicemente una risorsa, ma un cardine del progetto, che deve essere consultato in ogni snodo politico e gestionale.
È per questo che non ha la minima intenzione di accettare che nel nuovo Statuto sia definita in modo stringente la sua figura, con una chiara distinzione fra la funzione politica, le cui scelte gli resterebbero precluse, e quella di garanzia, che diventerebbe una specie di riconoscimento simbolico, trasformandolo nel “padre nobile” ma ormai privato di potere e rilevanza.
Non è solo un giochetto di potere, però. Non è solo un capriccio del vecchio leader che fatica ad abbandonare la sua creatura e soffre la popolarità del suo rivale. Non sarebbe corretto ridurre Grillo a una macchietta umorale priva di visione strategica.
Perché Grillo ha capito che il progetto di Conte è ben più ambizioso di una semplice scalata interna al vertice di un partito in crisi di consensi e di identità. Ha capito, cioè, che il professore sta semplicemente utilizzando il proprio consenso personale per svuotare dall’interno il M5s, modellando una nuova creatura-partito, con una chiara e definita collocazione politica (a sinistra, con un chiaro stampo ambientalista ed europeista) e con una struttura di tipo tradizionale (un leader forte, un assetto territoriale, una scuola di formazione centralizzata), che non ha nulla a che fare con la storia e i principi del Movimento. E, come dire, non può proprio accettare l’idea che del M5s non rimangano che vaghi rimandi a concetti quali democrazia diretta, onestà e intelligenza collettiva. Soprattutto se l'alternativa è quella di costruire non una forza radicalmente ecologista in grado di dettare l'agenda politica del Paese, ma una creatura ibrida interna al centrosinistra, alleata con il Partito Democratico, avente come unico pregio quella di essere espressione del leader politico più apprezzato del Paese, Giuseppe Conte appunto.
In questa considerazione, che è poi un'altra ragione per la quale si è messo di traverso, Grillo non è solo, anzi. Perché se i contiani crescono di numero giorno dopo giorno tra gli iscritti e i simpatizzanti Cinque Stelle, il quadro è molto diverso tra i gruppi parlamentari e gli esponenti di primissimo piano, dove c'è solo imbarazzo della scelta tra chi aspetta che il professore si esprima sul vincolo del secondo mandato, chi è rimasto deluso dallo spirito iconoclasta delle sue prime uscite pubbliche, chi ha la legittima aspirazione a tornare in sella (e in questi anni ha costruito una rete di relazioni e legami da non sottovalutare), chi non apprezza (eufemismo) la svolta moderata ed europeista e chi non ha ancora capito "per fare cosa" si stia smantellando la struttura del Movimento. Insomma, resistenze di diverso tipo (e distanti per obiettivi, portata, interessi e mandanti) che fanno sì che Conte non controlli ancora il Movimento. Non è un caso che un altro snodo essenziale dell'intervento odierno di Conte sia stato la conferma del sostegno a Draghi, dopo settimane di pizzini sulla necessità di rimarcare le distanze dal governo della grande ammucchiata (come a voler rassicurare tutti…). E non è un caso, poi, che uno dei passaggi dell'intervento di Conte fosse rivolto all'aspetto comunicativo, che dovrebbe essere "controllato" dalla funzione politica e da nessun altro, perché proprio sulla comunicazione si sta giocando una partita cruciale e troppo spesso sottovalutata per il futuro del Movimento 5 Stelle.
Comunicazione, esponenti 5 Stelle nel governo, iscritti: per cancellare l'Elevato c'è bisogno di questi tre elementi, Conte ha la forza di portare tutti dalla sua parte?