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Nave Iuventa, giudice decide il 19 aprile sul non luogo a procedere chiesto dal pm per i 4 imputati

Arriverà il prossimo 19 aprile la decisione del Gup di Trapani sui quattro imputati nel caso Iuventa, nave della ong Jugend Rettet, accusati a Trapani di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per i quali la stessa procura siciliana ha chiesto il non luogo a procedere.
A cura di Annalisa Cangemi
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Immagine di repertorio
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È attesa per il prossimo 19 aprile la sentenza e del Gup di Trapani sui quattro imputati nel caso Iuventa, la nave della ong tedesca Jugend Rettet, accusati a Trapani di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ma per i quali la Procira di Trapani lo scorso 28 febbraio a sorpresa, dopo 7 anni dall’inizio del procedimento, ha chiesto il non luogo a procedere. La data della decisione del giudice è stata riferita dal team dei legali della difesa.

Oggi a Trapani si è tenuta l'udienza preliminare del processo. Nave Iuventa è stata sequestrata nel 2017, dopo un salvataggio di migranti. Il caso Iuventa è scoppiato nell'estate del 2017, quando l'allora governo guidato da Paolo Gentiloni, ministro dell'Interno Marco Minniti, varò il "codice di condotta" per le ong impegnate nel soccorso in mare. La ong, insieme ad altre, rifiutò di firmare il codice. Il successivo 2 agosto la nave venne sottoposta a sequestro per collusione con i trafficanti durante tre diverse operazioni di salvataggio avvenute durante il 2016 e il 2017.

In seguito alla richiesta del pubblico ministero del non luogo a procedere, la difesa ha presentato un'arringa finale, chiedendo non solo la chiusura del caso, ma anche il pieno riconoscimento della legittimità di tutte le azioni.

Le quattro giornate conclusive dell'udienza preliminare del caso Iuventa sono iniziate mercoledì, quando durante la presentazione delle memorie finali, il pubblico ministero, che è stato il primo a intervenire, ha richiesto il non luogo a procedere nei confronti dell'equipaggio nonostante abbia portato avanti il caso per quasi 7 anni. Tuttavia, la richiesta non si è basata sul riconoscimento che non siano stati commessi crimini, ma sul fatto che il dolo degli imputati non potesse essere sufficientemente provato.

La squadra della difesa di Iuventa ha continuato con le sue arringhe giovedì e venerdì, dichiarandosi in disaccordo con questo ragionamento. Nell'arco di diverse ore, i legali hanno sistematicamente confutato tutte le presunte prove relative agli episodi in questione. Inoltre, hanno sottolineato che, al di là della ricostruzione fattuale degli incidenti specifici, l'ingresso in Italia delle persone salvate è da considerarsi lecito in qualsiasi circostanza.

Hanno poi ribadito che tutte le azioni intraprese dalla Iuventa erano legittime e rientravano tra i loro diritti – basati su principi legali internazionali e nazionali come quello del dovere di soccorso e di intervento in condizioni di pericolo in mare, oltre che sui diritti fondamentali degli imputati. Hanno poi sottolineato che, dopo il sequestro della Iuventa e durante il processo in corso, molti dei fatti pertinenti sono stati accertati da altri tribunali. Ad esempio, la recente sentenza della Corte di Cassazione che conferma che la Libia non è un porto sicuro è direttamente applicabile al caso Iuventa.

Secondo i legali si tratta di "un processo politico" al diritto e al dovere di soccorrere chi è in pericolo in mare, come si evince "dalle indagini politicamente orientate", mentre "le autorità hanno continuato a perseguire il caso, nonostante l'assenza di prove che indicassero illeciti. Il ministero degli Interni ha persino incaricato una sezione speciale della polizia di occuparsi delle indagini, il che indica una forte influenza politica". La difesa, infine, ha chiesto che "venga pienamente riconosciuto che le azioni dell'equipaggio della Iuventa non solo erano legittime, ma rappresenta l'esercizio di un diritto riconosciuto agli imputati" e "l'apertura di un'inchiesta affinché si faccia chiarezza sulle circostanze che hanno caratterizzato la fase investigativa".

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