Naufragio di migranti a Cutro, i nuovi punti oscuri della ricostruzione nelle chiamate di quella notte
Sul naufragio a Cutro, vicino a Crotone, avvenuto nelle prime ore della mattina del 26 febbraio, ci sono ancora molti aspetti da chiarire. La Procura ha aperto delle indagini esplorative per capire se lo schianto, che ha causato almeno 69 morti tra le persone migranti a bordo, avrebbe potuto essere evitato. Finora è stato possibile ricostruire in parte gli eventi di quella notte, ma con l'emergere di nuovi elementi, aumentano anche le domande e i punti oscuri.
Una telefonata (forse) dalla barca che affonda
Il Corriere della Sera ha raccolto una serie di telefonate, segnalate dai carabinieri e dalla Guardia costiera. Sono arrivate proprio nei minuti del naufragio di Cutro, che sarebbe avvenuto tra le 4 e le 4.10.
La prima chiamata è arrivata alle 4.20 ai carabinieri di Crotone: si trattava di un numero turco, che ha chiamato "da una non meglio identificata barca", dicono i verbali. La conversazione è durata pochissimo, la linea era scarsa ed è caduta quasi subito. Anche provando a richiamare, i carabinieri non sono riusciti a parlare di nuovo con la persona in questione. Secondo gli strumenti dei militari, il telefono si è agganciato alla cella di Le castella, località di Isola Capo Rizzuto. È possibile, quindi, che si trattasse di una delle persone a bordo che provava a chiedere soccorso, ma fino ad adesso non ci sono certezze.
La seconda e la terza telefonata della notte sono arrivate in rapida sequenza, da un numero italiano, alla Centrale operativa delle capitanerie di porto, cioè alla Guardia costiera. Erano le 4.35 e la persona al telefono (definita "un segnalante straniero") ha detto di vedere una barca in difficoltà che era sul punto di ribaltarsi. La barca si trovava a 40-50 metri dalla riva, nella zona della foce del fiume Tacina, e l'uomo ha aggiunto: "Li sento urlare". Poco dopo, in una seconda chiamata, è arrivata la conferma: "Ho visto il peschereccio ribaltarsi".
Gli altri dubbi: la segnalazione del naufragio "via Facebook" e l'attivista che conosceva le coordinate
La Guardia costiera ha ricevuto un'altra telefonata, alle 4.52, da un altro "segnalante straniero". Il numero era di nuovo turco e l'uomo al telefono parlava in inglese. Ha detto di avere avuto, "via Facebook", l'informazione che "c'è una barca che sta per affondare davanti a Isola Capo Rizzuto". Ha ribadito di non essere a bordo della barca, e di non avere il numero di bordo per contattarla direttamente. Ha specificato, però, che "dal post su Internet" risultava che ci fossero 200-250 persone a bordo. Anche in questo caso, la telefonata lascia più dubbi che risposte: perché un'imbarcazione che sta affondando dovrebbe postare le proprie informazioni su Facebook, in attesa che qualcuno le veda e contatti le autorità?
Dopo meno di mezz'ora, alle 5.13, è stata una donna a chiamare la Centrale operativa. Si trattava di una attivista italo-marocchina per i diritti umani. Ha detto di aver ricevuto una telefonata da parte di una persona che avrebbe dei familiari a bordo della barca, che avrebbe usato un numero tedesco. La donna, però, non ha dato questo numero alla Guardia costiera. Secondo le sue informazioni, la barca era partita dalla Turchia con 120 persone a bordo e si era spezzata circa un'ora prima della telefonata.
Non solo, ma l'attivista ha fornito le coordinate esatte della barca, oltre al numero (turco) di un telefono che si trova a bordo. Ha detto di avere avuto queste indicazioni dallo stesso parente tedesco che l'ha chiamata. Non si può escludere che, se le cose sono andate in questo modo, la persona con il numero tedesco fosse parente di uno degli scafisti, dato che erano gli unici che potevano utilizzare dei telefoni e che conoscevano le coordinate esatte. Una ventina di minuti dopo, alle 5.35, la donna ha inviato una mail alla Guardia costiera ribadendo le stesse informazioni.