Naufragio di Cutro, la Procura chiede di mandare a processo sei militari: di cosa sono accusati
La Procura di Crotone ha chiesto che vengano rinviati a giudizio i sei militari (due della Guardia costiera e quattro della Guardia di finanza) che sono accusati di aver contribuito al naufragio avvenuto a Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023: l'imputazione sarebbe di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. L'imbarcazione "Summer Love" naufragò all'alba e morirono 94 persone (di cui 35 bambini), oltre a almeno dieci dispersi. Il pm che ha seguito l'inchiesta, Pasquale Festa, ha depositato la richiesta al gup. L'udienza preliminare si svolgerà al Tribunale di Crotone.
Dal governo Meloni ha commentato il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha espresso sia "fiducia nell’operato della magistratura" che "vicinanza e sostegno ai sei militari". Matteo Salvini ha espresso "solidarietà umana, professionale e politica" ai militari, prendendo posizione contro la Procura: "Certi magistrati dovrebbero pensarci mille volte, prima di accusare donne e uomini che rischiano la vita tutti i giorni per salvare quella degli altri". Solidarietà è arrivata anche dal ministro dell'Interno Matteo Piantedosi.
Proprio oggi, un altro processo legato alla strage di Cutro si è avvicinato al termine: quello che vede imputate tre persone che la stessa Procura di Crotone ritiene abbiano aiutato gli organizzatori della traversata, nonostante non si tratti di ‘scafisti‘ veri e propri. Il pm oggi ha svolto la requisitoria, chiedendo la condanna rispettivamente a diciotto, quattordici e undici anni di carcere, oltre a multe milionarie per ciascuno. I tre imputati hanno 22, 26 e 52 anni.
Per i militari italiani, invece, il processo potrebbe essere alle porte. L'ipotesi della Procura è che i sei, a vario titolo, siano stati colpevoli di omissioni o inerzie che hanno contribuito al naufragio in quella notte di febbraio. Come riportato dalla Gazzetta del Sud, sono passati circa tre mesi dalla chiusura delle indagini.
Il reato di naufragio colposo, previsto dall'articolo 450 del Codice penale, riguarda chi "con la propria azione od omissione colposa" fa "sorgere o persistere il pericolo" di un naufragio o di un altro disastro. La pena è il carcere fino a due anni. Per l'omicidio colposo, invece, la pena massima è di quindici anni di carcere se c'è stata più di una morte.
Concretamente, gli ufficiali si sarebbero scaricati le responsabilità a vicenda nelle ore in cui emergevano le prime informazioni sull'imbarcazione in difficoltà. Per oltre cinque ore, quando i soccorsi avrebbero potuto intervenire, le comunicazioni tra i militari avevano fatto perdere tempo. "So' migranti, poi vediamo", avrebbe scritto uno degli indagati in un messaggio. L'intervento sarebbe stato delegato alla Guardia di finanza, che però non aveva imbarcazioni adatte ad affrontare le difficili condizioni del mare. La Guardia costiera, che invece le aveva, sarebbe partita troppo tardi.
Per la Guardia costiera, come detto, gli indagati sono due: Nicola Nania, l'ufficiale di ispezione al centro di coordinamento soccorso marittimo di Roma, e Francesca Perfido, ufficiale di ispezione della Capitaneria di porto di Reggio Calabria. I militari della Guardia di finanza coinvolti invece sono Giuseppe Grillo, capo turno della sala operativa di Crotone (e anche del reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia), il comandante Alberto Lippolis, il responsabile controllo tattico (sempre a Vibo Valentia) Antonino Lopresti, e il comandante del gruppo aeronavale di Taranto Nicolino Vardaro.