Siamo tutti d’accordo, o almeno lo spero, che quella di Tajani su Mussolini sia una c*ata, una frase senza il minimo senso, soprattutto per chi dovrebbe garantire la rispettabilità delle istituzioni europee. Fossimo meno assuefatti alle c*ate, Tajani si sarebbe dimesso da Presidente del Parlamento Europeo 5 minuti dopo aver pensato una c*ata del genere. Il punto è che quella di Tajani non è solo una c*ata, ma è revisionismo del peggior tipo. Quello delle mistificazioni storiche spacciate per buonsenso, delle banalizzazioni e delle fake news che diventano “dati di fatto”, della rimozione del passato e della riduzione del fascismo a una specie di stato autoritario in camicia nera.
È un revisionismo che negli anni ha trovato terreno fertile in Italia, con il processo di rimozione collettiva del passato che è iniziato già nel dopoguerra, per subire un’impennata negli anni novanta, con la cancellazione dell’ultimo tabù e l’approdo dei post fascisti al governo. Ma è negli ultimi anni che i processi di “normalizzazione” dell’ideologia fascista e di sdoganamento delle sue pratiche hanno raggiunto l’apice. Anche grazie alle debolezze di politica e media, che hanno lasciato campo libero alla propaganda di estrema destra, ma soprattutto hanno contribuito a sdoganare linguaggio, pensieri e pratiche di chiara ispirazione fascista all’opinione pubblica. Sul tema, c’è ampia letteratura (qui, qui e qui qualche riflessione nel dettaglio).
Nello specifico, l’operazione che si nasconde dietro il “Mussolini ha fatto anche cose buone” è subdola. Perché induce il lettore o l’ascoltatore a pensare che, in fondo, si tratti semplicemente di buonsenso: non è possibile, non è proprio concepibile, che in vent’anni non si sia fatta una cosa giusta. Astraendo la questione dal contesto, fregandosene della storicizzazione, ma soprattutto riducendo gli errori del fascismo stesso a poche questioni: l’omicidio Matteotti, le leggi razziali, l’entrata in guerra al fianco di Hitler.
[En passant, tra l’altro, se c’è una cosa che manca è proprio la consapevolezza dell’enormità dei crimini dei fascisti nel Ventennio, dell’ampiezza delle vessazioni e degli abusi delle camicie nere, della vergogna coloniale, dell'uso della forza contro le minoranze e gli avversari politici, e della sostanziale impunità nei confronti di chi si macchiò di delitti efferati nel dopoguerra.]
Le questioni di cui parla Tajani, per quanto rilevanti, però, non sono “gli errori del fascismo”. Non si può utilizzare, in un senso o nell’altro, una parte per rappresentare un fenomeno storico complesso, men che meno per dare giudizi su di esso. E così parlare di "cose buone" all'interno dell'ideologia fascista è distorsivo, truffaldino. Alberto Bernardi, nel libro “Una dittatura moderna”, spiega come da tempo sia in atto un processo di “defascistizzazione del fascismo”, che si sostanzia soprattutto in una sottovalutazione del regime fascista e, di conseguenza, nella sua “legittimazione culturale come dittatura benevola”. Una tendenza che “affondava le sue radici nei processi compositi, ma largamente autoassolutori, attraverso i quali la società italiana ha rielaborato la sua sostanziale acquiescenza all’esperimento fascista, rifiutandosi di prendere atto che esso rappresentò invece il laboratorio e la matrice del totalitarismo, il cui esito, se non fosse stato sconfitto da una guerra spaventosa costata cinquanta milioni di morti, sarebbe stata la fine della civiltà europea”.
Matteotti, le leggi razziali, la guerra con Hitler non sono “errori” di Mussolini, sono la concretizzazione delle pratica e dell’ideologia fascista. Emilio Gentile, nel suo “Le religioni della politica”, chiarisce come il fascismo sia stato “il primo movimento totalitario nazionalista che mostrò pienamente dispiegati i caratteri di una religione politica […] istituendo un sistema di credenze, di miti, di riti e di simboli che divinizzavano la nazione e lo Stato, e celebravano il culto del duce come mito vivente”. È stato un progetto (fallito, per fortuna, per i limiti di Mussolini e per altre ragioni) che andava ben oltre “la negazione assoluta della libertà”. Tutto è (o almeno nelle intenzioni, sarebbe dovuto essere) inglobato nell’ideologia-religione, non esistono singoli elementi giudicabili “al di fuori” della religione fascista, che peraltro fa della violenza il suo metodo di azione privilegiato in ogni campo. Non esistono "cose buone" in tale contesto.