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Mussolini, Andreotti, Berlusconi: è davvero tutta qui l’Italia?

Davvero il nostro paese non riesce ad andare oltre questi tre modelli culturali?
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E' una domanda che mi ritorna nella mente da giorni. E' un campanello – come quello delle sveglie al mattino – che suona e ti spinge a chiederti cosa ci sarà dopo? Cosa verrà dopo 100 anni in cui l'Italia ha visto come fari illuminanti questi tre uomini? Descriverlo in poche righe è operazione complessa ma al tempo stesso esercizio necessario per mettere in fila le personalità che hanno indirizzato l'Italia verso il paese che è oggi. L'Italia – in senso vasto – è un paese figlio di tre uomini a cui va riconosciuto il merito storico di aver orientato come nessun altro le sorti della nazione.

Un paese figlio di tre personalità. Un paese che ha sempre sentito la necessità di un uomo forte capace di guidare il popolo oltre i rispettivi piccoli orticelli. Ma Mussolini, Andreotti e Berlusconi sono stati davvero i Mosé del ‘900 che hanno guidato l'Italia oltre il Mar Rosso? Il giudizio storico sugli ultimi due è lungo a venire. Di Mussolini rimarrà il fallimento storico della guerra, le persecuzioni e la mania di grandezza di un uomo che mandò l'Italia a perire in un conflitto mondiale nonostante un esercito messo sotto scacco finanche dalle armate albanesi.

Tre uomini differenti fra loro ma che hanno segnato come nessun altro la storia recente del nostro paese, tanto da trasformare la visione di un singolo nel comportamento di una massa. La cultura fascista, ad esempio, è un fenomeno che travalica la fine politica del regime e resiste fino ai giorni nostri in forme e modi che – nonostante risultino fuori dal tempo – trovano consenso tra i giovani. Un paradosso in termini. Un movimento reazionario, nostalgico che fa breccia nella fascia di età di chi dovrebbe guardare al futuro piuttosto che al passato. Per certi aspetti la dinamica culturale fascista è simile a quella che ritroviamo in alcune visioni del Pdl. Giovani affascinati dal modello televisivo che oggi è antistorico, non più attuale. Un modello fatto di lustrini e idee di ricchezza che mal si coniugano con la questi anni di “basso impero” che stanno trascinando un capitalismo morto verso fine certa. Come può, un giovane italiano, credere ancora che quel modello di capitalismo laico – criticato vigorosamente da Pasolini – possa essere il contesto culturale dell'Italia del futuro? Come avvenuto per il fascismo, è indubbio che strascichi di 30 anni di cultura berlusconiana travalicheranno la fine della politica del Cavaliere ma la fine politica di quel modello è evidente. Non è un caso che proprio oggi ha annunciato che non farà più comizi. La crisi ha reso irrealistico un modello consumistico che 30 anni di televisioni private hanno supportato e che Berlusconi stesso ha fomentato – ricordiamo la campagna “Fai girare l'economia” che invitava gli italiani a spendere -. Una campagna in linea con le telepromozioni perorate dalle reti Finivest per oltre un ventennio.

I modelli che hanno seguito per la diffusione delle visioni personali sono, per certi aspetti, simili: Mussolini ha creato la sua base grazie all'approccio demagogico del Popolo d'Italia, la lottizzazione della Rai ha favorito l'ascesa di Andreotti e la nascita delle televisioni private ha, infine, sostenuto lo strapotere berlusconiano della Seconda Repubblica. Ma non sono stati solo i mezzi d'informazione a conformare il potere di cui questi tre uomini hanno goduto. La loro capacità di relazione anche al di fuori dei media – con la piazza nel caso di Mussolini e Berlusconi, con la “piazza” privata nel caso di Andreotti – ha consentito di creare un rapporto di prossimità che altri non hanno saputo creare. Il modello on media/out media è stata la vera forza di tutti i politici che si sono stagliati oltre l'immanenza della propria epoca e hanno fatto delle proprie idee un modello culturale diffuso. Se la stampa (e la radio) sono state soppiantante dalla tv e quest'ultima dal web non resta che attendere e capire chi sarà il politico capace di guidare la rete in Italia – e poi scendere nelle piazze -. Fare nomi ora sarebbe azzardato, perché l'orizzonte delle trasformazioni è ancora in là a venire.

Ciò che colpisce è la difficoltà che incontrano in Italia modelli che vadano oltre i succitati. Modelli capaci di andare oltre la scelta di affidare il comando della nave Italia a un uomo solo, delegando il nostro diritto di cittadinanza nelle mani di un “monarca”. Ciò che infastidisce è la costante ricerca di eroi capaci di contrapporsi al modello del “one man show”. Eroi di cartone che non lasciano traccia, che impattano con lo stesso vigore di uno Stefano De Martino. Eroi banali, autoreferenziali, incapaci di costruire una collettività che vada oltre il proprio io e la cura del particolare. Eroi che esaltano l'orticello; quell'orticello che Andreotti, Berlusconi e Mussolini hanno bypassato costruendo un senso di nazione. Il nostro paese ha bisogno di emanciparsi dagli eroi. Perché se l'unica ancora di salvezza sarà l'eroe non saremo mai un paese maturo.

La speranza è che si riesca ad oltrepassare questi due modelli antitetici. Che si riesca a creare un concetto di collettività che vada oltre la necessità di un leader. Un modello che accantoni i retaggi del passato e che guardi con slancio differente verso un futuro post-capitalista.

La vignetta "Evoluzione" è  è di Marco Martellini, vignettista che ha vinto nel 2009 il premio "Homo Ridens: Tributo semiserio a Darwin".

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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