Mulè (Fi) respinge accuse del M5s: “Populismo ipocrita, non stiamo aumentando gli stipendi dei deputati”
Il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè rimanda al mittente le accuse che arrivano dal Movimento Cinque Stelle, secondo cui, grazie a un ordine del giorno che ha presentato, e che sarà messo in votazione giovedì prossimo in occasione dell’approvazione del bilancio di Montecitorio, vuole eliminare l'equiparazione delle indennità per gli eletti a quelle dei presidenti di sezione della Corte di Cassazione – regolata da una legge del 1965 – con l'obiettivo di far saltare il tetto ai compensi. Per il Movimento questa sarebbe in sostanza una strategia della solita "casta", per aumentarsi lo stipendio. Ma il forzista respinge del tutto questa ricostruzione.
I pentastellati hanno presentato un altro odg, a prima firma di Silvestri, in cui si chiede di equiparare gli stipendi non più a quelli dei magistrati ma a quelli dei dipendenti della pubblica amministrazione "il cui trattamento massimo annuo lordo risulti radicalmente inferiore".
Cosa dice l'ordine del giorno presentato da Giorgio Mulè
L'odg di Mulè parte dalla legge del 31 ottobre 1965, numero 1261, che regola l'indennità per i parlamentari, la quale è equiparata a quella dei presidenti di sezione della Corte di Cassazione. Dal 2006 l'Ufficio di presidenza della Camera ogni due anni ha deliberato di non procedere all'adeguamento dell'importo dell'indennità parlamentare prevista per legge.
Questo negli anni ha determinato una differenza sempre maggiore tra l'importo dell'indennità parlamentare corrisposta e quello che sarebbe stato previsto in caso di adeguamento: ora quella cifra balla tra 5725 e i 6185 mensili, "a seconda del caso in cui il deputato continui a svolgere in corso di mandato un'attività lavorativa a seguito della quale percepisca un reddito uguale o superiore al 15% dell'indennità parlamentare".
"Il Parlamento continua a perpetuare una situazione assurda, perché non avendo adeguato in questi 17 anni gli stipendi a quelli dei magistrati di Cassazione, a cui per legge quelli dei parlamentari dovrebbero essere agganciati, si è creato per ogni deputato un divario che oscilla tra i 5.725 e i 6185 al mese, se gli stipendi dovessero essere adeguati. Il che è una follia, una cifra ormai incolmabile", ha spiegato Mulè, contattato telefonicamente da Fanpage.it.
Il suo ordine del giorno in pratica impegna "l'ufficio di presidenza a valutare l'opportunità di farsi promotore, tramite le opportune intese con il consiglio di presidenza del Senato della Repubblica e con i gruppi parlamentari di Camera e Senato di un'iniziativa legislativa finalizzata ad eliminare il riferimento normativo alla retribuzione spettante ai magistrati con funzioni di Presidente di sezione della Corte di Cassazione ed equiparate", "sostituendolo con un nuovo meccanismo di adeguamento periodico degli importi delle indennità parlamentari". Il fatto stesso che Mulè abbia proposto una legge per cambiare il meccanismo di adeguamento è per il Movimento la prova di un aumento degli stipendi in vista. "Non è così, questo è populismo di quarta categoria. Un conto è l'aumento di stipendio, altra cosa l'indicizzazione Istat, che è automatica per tutti gli stipendi", ha spiegato Mulè.
"Ma la mia proposta non verte sull'indicizzazione all'Istat: semplicemente chiedo che il Parlamento faccia una legge che elimini il riferimento all'equiparazione dello stipendio del deputato a quello del magistrato di Cassazione, perché ci costerebbe troppo, 2 milioni e mezzo in più al mese. È un'ipocrisia, un aggancio anti-storico che già non viene fatto da anni, e che sta creando un monte enorme di possibili ricorsi. Possiamo anche decidere di non indicizzare all'Istat, ma serve una legge che faccia ordine, e stabilisca qual è l'indennità".