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Morti sul lavoro, Romano (M5s) a Fanpage.it: “Non è fatalità, bisogna lavorare sulla prevenzione”

Il senatore del Movimento 5 Stelle, Iunio Valerio Romano, fa il punto con Fanpage.it sulla sicurezza sul lavoro in Italia: “Bisogna agire, e non continuare a parlare solo di morti sul lavoro come frutto di mera fatalità”. Per questo è fondamentale “lavorare sulla prevenzione”, a partire da “formazione, informazione e addestramento”.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Quest'anno la giornata delle vittime sul lavoro ha un sapore ancora più amaro. Gli incidenti mortali sono sempre più frequenti, molti dei quali hanno avuto anche un grande impatto mediatico. Il governo ha promesso un intervento in tempi brevi, ma non ci sono ancora novità in merito. A Palazzo Madama, nel frattempo, è stata presentata una proposta di legge a prima firma di Iunio Valerio Romano, senatore del Movimento 5 Stelle e vicepresidente della Commissione d'inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia. Intervistato da Fanpage.it il parlamentare pentastellato ha spiegato il suo punto di vista, dalle cause alle possibili soluzioni per arginare un fenomeno che ormai è tragedia quotidiana.

Oggi è la giornata delle vittime sul lavoro, perché è importante soprattutto in un anno del genere?

È importante perché il contrasto a certi fenomeni, come le morti sul lavoro e gli infortuni, non può prescindere dalla comprensione delle cause. Poi, di conseguenza, bisogna agire, perché fino a quando ci si concentra soltanto sugli effetti, la luce in fondo al tunnel non la vedremo mai. Continueremo a parlare solo di morti sul lavoro come frutto di mera fatalità. Un infortunio o una morte sul lavoro non è mai frutto del caso, c’è sempre un margine di prevedibilità. Per questo è importante lavorare sulla prevenzione, dove per prevenzione intendo innanzitutto formazione, informazione e addestramento. Non un semplice adempimento burocratico fine a se stesso. Le testimonianze dirette possono essere, in tal senso, di grande aiuto.

In che senso un adempimento burocratico?

Spesso oggi l’imprenditore, e non solo, vede la sicurezza sul lavoro come un impegno e un costo previsto dalla legge, senza rendersi conto di quanto sia importante. Al momento dell'atto pratico il lavoratore deve sapere come comportarsi, deve percepire il rischio e non si può prestare a quell’atteggiamento che a volte si riscontra, come a dire “tanto a me non può succedere”. Il rispetto delle regole non è fine a se stesso. Quelle regole non sono lì perché il legislatore se l’è inventate, ma perché l'attività deve essere svolta portando il rischio prossimo allo zero.

Da dove cominciare?

L’arma principale è culturale, si deve partire dalle scuole, dove si getta il seme che potrà germogliare. Oggi manca una vera cultura della legalità, tanto che qualcuno si considera più scaltro se riesce ad aggirare le norme. Ma ci sono anche dei lavoratori che sono muniti dei dispositivi di protezione e non li utilizzano. Il datore di lavoro deve comprendere che investire in sicurezza è conveniente. Allo stesso tempo si deve premiare l’imprenditore che rispetta le regole e mettere ai margini chi non lo fa.

C'è un problema strutturale?

Abbiamo un impianto normativo, il Tusic – Testo unico sicurezza, ndr – che è imponente e valido, però va attualizzato e completato, ma soprattutto snellito. Poi ci sono dei problemi originari: non esiste una vera distinzione tra realtà produttive grandi e piccole; l'impianto sanzionatorio non ha una funziona deterrente. Insomma, sono ‘multe': se si paga la somma in denaro il reato si estingue e di conseguenza viene derubricato in illecito amministrativo. Perciò molte ditte sono portate a ritenere che, se e quando verranno pizzicate, pagheranno la sanzione, che rientrerà nel costo di impresa. Questo non può e non deve accadere.

Quindi quali possono essere le soluzioni per uscire da questa situazione che continua a mietere vittime?

Innanzitutto potenziare le misure interdittive già presenti nel Tusic. Bisogna intervenire nel momento in cui c’è la grave violazione con la sospensione dell’attività. Si potrebbe prevedere anche una sorta di messa alla prova dell’impresa, ma in generale l’idea è quella di fermare l'imprenditore che viola le norme, senza compromettere l'attività produttiva. Questo deve andare di pari passo con la patente a punti, con l’inasprimento delle sanzioni, ove necessario, e con la reale condivisione delle banche dati. Poi il governo ha parlato giustamente anche di potenziamento degli organi di vigilanza.

C'è anche una sua proposta di legge in Senato che propone l'istituzione di una Procura nazionale del lavoro, perché?

Perché serve competenza uniforme a livello nazionale. È un dato di fatto che su questi reati le Procure si muovono con diversa attenzione ed efficacia. Ci vuole un pool di magistrati altamente professionalizzati, che agisca in maniera coordinata e che possa garantire una risposta di giustizia piena e rapida, abbattendo quel senso di impunità che contribuisce a generare illegalità. La Procura può anche costituire un punto di riferimento, con linee guida condivise, per tutti quegli organi di vigilanza che svolgono un’attività di polizia giudiziaria. È chiaro che bisogna principalmente intervenire sulle cause, la Procura di per sé non è la panacea, ma uno degli strumenti che può consentire di chiudere il cerchio e rendere efficace questa battaglia di civiltà.

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