Morire di aborto a vent’anni nel paese degli obiettori
Nelle ultime settimane si è parlato moltissimo dei casi delle donne morte di parto in varie parti d'Italia, tra cui Torino, Brescia, Bassano del Grappa. L'indignazione per questi decessi è stata fortissima: il ministero della Salute ha inviato una task force per verificare le responsabilità di questi episodi e il ministro Beatrice Lorenzin ha dichiarato che morire di parto per carenze o inefficienza è "inaccettabile" e che in Italia la media di mortalità è molto bassa, in linea con altri paesi europei.
Ieri a Napoli una ragazza di diciannove anni è morta in ospedale dopo essersi sottoposta a un'interruzione volontaria di gravidanza. Anche in questo caso c'è stato un moto di indignazione. Il sentimento, però, è stato diverso da quello degli altri giorni, per lo più spinto dalla giovane età della vittima. A differenza che nei casi delle donne decedute durante il parto, per il caso della diciannovenne di Napoli c'è stato qualcuno che ha commentato che, tutto sommato, se l'era cercata. In una bacheca Facebook ho letto questa frase: "In questa storia vedo un morto e un omicidio". Posizioni antiabortiste, infine, hanno tuonato come un "ve l'avevo detto": "Dedicate una preghiera a Gabriella, 19 anni, morta d'aborto di Stato".
Partiamo da un presupposto: l'interruzione volontaria di gravidanza nel nostro paese è un diritto. C'è una legge, la 194 del 1978, che prevede espressamente che si possa abortire volontariamente entro i primi 90 giorni di gestazione. Per interrompere la gravidanza successivamente, invece, occorre "un grave pericolo per la vita della donna" o "processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna". Il fatto che esista una legge, purtroppo, non è garanzia che quei diritti che vorrebbe tutelare vengano rispettati nella pratica.
Ogni anno il ministero della Salute pubblica una relazione sull'applicazione della 194 in Italia. In quella emessa a novembre dell'anno scorso – riferita al 2014 – si evidenzia che per la prima volta gli aborti sono scesi sotto i 100 mila all'anno. Nonostante i commenti entusiasti con cui è stata accolta questa circostanza, il dato principale che la relazione continua a ribadire è un altro: il numero dei medici obiettori di coscienza nel nostro paese è altissimo. L'obiezione è garantita dalla stessa legge 194, che all'articolo 8 prevede che
Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.
La questione è che il numero di ginecologi obiettori supera di gran lunga quello dei non obiettori. Secondo la relazione ministeriale, le percentuali toccano il 93,3% in Molise, il 92,9% nella provincia autonoma di Bolzano, il 90,2% in Basilicata, l'87,6% in Sicilia, l'86,1% in Puglia, l'81,8% in Campania e l'80,7% in Lazio e Abruzzo. Tra l'altro i dati del ministero sono anche sottostimati: calcolano le obiezioni dichiarate, contando tutti medici presenti in tutti i centri con reparti di ostetricia e ginecologia, a prescindere se questi effettuino o meno aborti. È chiaro che un ginecologo obiettore che si trovi a operare in una struttura che non fa interruzioni di gravidanza, non avrà alcun motivo di presentare l'obiezione. Così il numero dei non obiettori "utili" è in realtà ancora minore.
E questo non è senza conseguenze. "Per legge tutti gli ospedali con reparto di ostetricia e ginecologia devono applicare la legge 194, ma in Italia questo non succede", ha spiegato la dottoressa Silvana Agatone, della LAIGA – Libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione della 194. "In molti ospedali i servizi vengono garantiti solo da un non obiettore – ha aggiunto – con un carico di responsabilità molto grande. Se bisogna fare un'interruzione e l'unico medico non obiettore si ammala è un problema. Per alcune donne quello potrebbe essere l'ultimo giorno utile". Nel novembre del 2014, ad esempio, il pensionamento dell'unico medico non obiettore del Policlinico Umberto I di Roma ha causato la temporanea chiusura del repartino per le interruzioni di gravidanza. Ad avvertire le pazienti, c'era solo un cartello davanti la porta d'ingresso. Esistono poi centri dove non è proprio previsto il servizio. Secondo l'Istat, complessivamente nel 2012 oltre 21 mila donne su centomila hanno dovuto spostarsi verso un'altra provincia, e di queste 8.824, cioè il 40%, sono dovute andare un'altra regione.
La penuria di medici disposti ad applicare la legge 194 provoca anche situazioni come quella dell'ospedale San Camillo, sempre nella Capitale, che ospita il centro di coordinamento regionale per la legge 194 ed è meta di moltissime donne da tutto il Lazio e dalle regioni vicine. Per accedere al servizio bisogna fare la fila nel sottoscala che ospita il repartino per le interruzioni di gravidanza. Apre alle 8, ma il flusso di gente inizia fin dalle 3 del mattino. Le prime possono entrare, le altre rimandate a un'altra volta. E, in un contesto così debole, avanza la criminalizzazione di chi sceglie di abortire. Molte donne raccontano di sedute interminabili in cui medici cercano di convincerle a rinunciare, di raduni davanti i reparti con i vangeli in mano, di attese estenuanti da sopportare in silenzio "perché te la sei cercata", di pellegrinaggi di struttura in struttura. In tutta questa situazione, riemergono fenomeni come l'aborto clandestino, seppur in forme diverse da quelle che siamo abituati a conoscere, e sorgono nuove piaghe, come quello "fai da te".
Il contesto, tra l'altro, non può che peggiorare. La preoccupazione dei medici è sul futuro: il trend dei non obiettori è in continua diminuzione e gli atenei formano sempre meno ginecologi pronti a fare aborti. Basti pensare che a Roma ci sono policlinici universitari che non hanno il reparto per le interruzioni. E diventa un circolo vizioso: quale giovane medico si metterebbe a fare aborti in un ospedale con un primario obiettore? I non obiettori, tra l'altro, pochi sono e meno resteranno. Con numeri così piccoli, chi si rende disponibile finisce per fare solo interruzioni di gravidanza, non avanza di carriera e deve anche beccarsi lo stigma che – ancora – esiste anche nella professione. "Se non si pone subito una soluzione a questo problema ci ritroveremo con una legge scritta di cui i cittadini italiani non potranno più usufruire. E quando questa cosa verrà fuori ci vorrà tempo per ripristinare tutto ma le donne non possono aspettare", ha spiegato la dottoressa Agatone. A detta della maggior parte dei medici la 194 è una buona legge. Sulla cui attuazione, però, nessuno controlla e il cui rispetto è affidato solo alla buona volontà di qualche operatore. Di cambiarla, i ginecologi non obiettori neanche si sognano: "Se la toccano adesso si fanno dei danni", dicono.
Morire di aborto nel 2016 a vent'anni può essere una fatalità, e la task force inviata dal ministero della Salute farà luce su eventuali carenze e responsabilità di quanto è successo a Napoli. Ma c'è anche una situazione generale che non si può continuare colpevolmente a ignorare.