Elezioni europee 2024

Moretti a Fanpage: “L’Europa deve diventare più politica. Diritti? Vanno difesi continuamente”

“Se veramente il Parlamento europeo dovesse scivolare troppo a destra, potremmo vedere congelata una fase straordinaria in cui abbiamo preso decisioni inedite, dal debito comune in pandemia alla lotta contro il cambiamento climatico. Diritti? Non basta che siano scritti sulla carta, se poi non vengono applicati”: lo dice Alessandra Moretti, candidata alle prossime elezioni europee con il Partito democratico, in un’intervista con Fanpage.
A cura di Annalisa Girardi
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Dopo una legislatura difficilissima, il Parlamento europeo si prepara per le nuove elezioni. La campagna elettorale è in pieno fermento: si discute del futuro dell'Europa e di come rispondere alle sfide geopolitiche del presente, di come portare a termine la transizione ecologica e di come tutelare tutti i cittadini dell'Unione. Abbiamo fatto il punto della situazione con Alessandra Moretti, eurodeputata uscente e candidata per le elezioni dell'8 e 9 giugno con il Partito democratico nella circoscrizione Nord Est, che durante l'ultima legislatura si è occupata di dossier centrali, come quello sull'Ecodesign.

Manca un mese alle elezioni europee e si sta per concludere una legislatura difficilissima. C'è stata un'emergenza dopo l'altra: la pandemia, la guerra, la crisi economica, energetica… Come deve cambiare l'Europa per fronteggiare situazioni di questo tipo?

Già nella legislatura 2019-2024 l'Europa ha cambiato volto radicalmente grazie all'impulso forte di David Sassoli. Siamo riusciti con la pandemia a diventare l'Europa della solidarietà, l'Europa della responsabilità, quella del debito comune da mille miliardi, poi redistribuiti tra tutti i Paesi. Questo però non basta: è vero, abbiamo affrontato la pandemia e abbiamo sconfitto il Covid, ma poi c'è stata la prima guerra ai confini dell'Europa che ha messo in crisi il principio presupposto su cui l'Europa è nata, che è la pace. E allora di fronte a questo la sfida sarà quella di avere una legislatura costituente, che sappia cambiare i Trattati e che attribuisca all'Europa una competenza in politica estera e difesa comune, togliendo definitivamente il veto.

Deve diventare un'Europa più politica?

Deve diventare un'Europa politica, cosa che oggi non è. E questa mancanza si è sentita soprattutto nella fase del negoziato per la pace: vediamo che Vladimir Putin non riconosce l'Europa, non ne riconosce l'autorevolezza: non si siede al tavolo con Ursula von der Leyen o con Josep Borrell. Perché? Perché l'Europa non ha una politica estera comune, né tantomeno una difesa. Se vogliamo rafforzare la nostra capacità di condizionare il dialogo per la pace – penso anche al Medio Oriente – dobbiamo assolutamente fare un passo in più.

Forse un passo in più di questo tipo c'è stato su alcune questioni interne? Penso a ciò che è stato fatto per la tutela dei diritti in Ue, come il voto per inserire l'aborto nella Carta dei diritti fondamentali, forse proprio perché – e lo vediamo in alcuni Paesi membri – questi non sono sempre garantiti…

Non basta che i diritti siano scritti sulla carta. Lo dico spesso alle ragazze: difendete e siate ribelli nella tutela dei diritti che hanno conquistato le vostre madri o le vostre nonne, perché i diritti non sono per sempre, ce lo insegnano le donne dell'Afghanistan, dell'Iran. E poi, il fatto che ci siano non significa che siano sempre e effettivamente applicati, penso al diritto all'aborto. La 194 c'è, è una legge importante, però se poi negli ospedali il 70% dei medici è obiettore di coscienza e se nei consultori – il cui numero è sempre più ridotto – si consente l'ingresso a movimenti pro-vita in grado di destabilizzare ulteriormente la donna, criminalizzandola, chiaramente quel diritto anche se è scritto non può essere esercitato.

I sondaggi ci dicono che il prossimo Parlamento europeo potrebbe essere spostato più a destra. Secondo lei che conseguenze potrebbe avere questo? Soprattutto per alcuni dossier fondamentali, come quello sulle migrazioni…

Il pericolo è attuale ed è un pericolo a cui devono guardare molto i cittadini italiani ed europei quando andranno al voto l'8 il 9 giugno. Se veramente il Parlamento europeo dovesse scivolare troppo a destra potremmo vedere congelata una fase straordinaria, in cui abbiamo preso decisioni inedite: penso alla lotta al cambiamento climatico, penso alle grandi innovazioni volute grazie anche alla pressione che dei giovani, che ci hanno chiesto di prenderci cura della qualità del nostro pianeta. E poi, è a rischio tutto quello che è stato fatto per fare in modo che l'Europa diventi un'Europa politica, dove gli Stati membri cooperino anche su questioni divisive come quella dei migranti.

Su questa va detto, l'Europa ha fallito: il nuovo Patto sui migranti (che il Partito Democratico non ha votato, cioè abbiamo votato contro) è un patto che non fa nulla per migliorare le regole di Dublino e non favorisce il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale in favore dei migranti. E poi peggiora significativamente anche la condizione dei bambini dei minori non accompagnati.

Visto che ha parlato di ambiente: nella legislatura che si sta per concludere, lei si è occupata tantissimo di Ecodesign. Ce ne può parlare?

L'Ecodesign è un regolamento che rappresenta la seconda gamba del New Green Deal: tutti i prodotti che saranno immessi sul mercato dal 2027, dal tessile all'elettronica, dalle calzature all'arredamento, non diventeranno più rifiuto, ma saranno progettati affinché, una volta esaurita la loro vita, rientrino a far parte del ciclo produttivo. Quindi questo comporta un risparmio sull'inquinamento e sulle famose discariche a cielo aperto che realizziamo nei Paesi in via di sviluppo. Pensate che mediamente una persona, all'anno, si disfa di dodici chili e mezzo di vestiti, che vanno a finire in queste discariche.

Il regolamento introduce poi il passaporto digitale, uno strumento per il consumatore: attraverso il passaporto, il consumatore avrà tutte le indicazioni e le informazioni su quel prodotto, su quanto rispetta la natura. Insomma, con questo strumento e con l'acquisto sarà il consumatore a compiere un atto politico

Alcune parti del mondo produttivo e politico, però, dicono sempre questa cosa: che la sostenibilità ambientale è chiaramente un fattore positivo, ma che bisogna essere anche competitivi sui mercati, mentre l'Europa non lo è…

La sostenibilità e la transizione sono una grande opportunità di competitività. Per quanto riguarda ad esempio l'Italia, il Made in Italy è un brand apprezzato ed esportato in tutto il modo: attraverso l'ecodesign noi andiamo a tutelare il mercato interno, perché forniamo indicazioni e regole precise anche a chi importa nel nostro Paese materie prime che non rispondono a criteri di qualità. Abbiamo ad esempio vietato l'utilizzo di sostanze che al lavaggio rilasciano microplastiche che sono molto pericolose per l'ambiente e la salute.

Dobbiamo andare verso un rifinanziamento della transizione e della sostenibilità, come ci dice Mario Draghi: servono tra i 200 e i 500 miliardi, affinché la transizione ecologica possa realizzarsi. E queste risorse serviranno proprio per l'industria – dalla piccola e media impresa alla micro impresa, ma anche all'industria più grande – proprio per realizzare quei target che l'Europa fissa, ma sempre mettendo delle risorse importanti per consentire poi la realizzazione effettiva di quei livelli di ambizione.

Le faccio un'ultima domanda. Al di là del gruppo politico di ogni eurodeputato, ogni Paese ha la sua delegazione. Giorgia Meloni rivendica che dal 2022 l'Italia in Europa conta di più: è così? E in caso contrario, come fare per tutelare al meglio gli interessi italiani in Europa?

I governi di destra non sono mai stati così presenti in in Europa: l'abbiamo visto in tante circostanze, a partire dal Patto di stabilità, ma anche quello sui migranti. Quello che conta in Europa non è l'atteggiamento che ha la destra, che viene e sbatte i pugni sul tavolo pensando di ottenere qualcosa di più: la cosa importante è avere una classe dirigente all'altezza, persone elette che poi in Europa ci vanno, ci rimangono per lavorare assumendosi la responsabilità dei dossier molto importanti per i propri Paesi.

Ci si batte ovviamente per l'interesse del proprio Paese, però sempre nell'ottica complessiva di un'Europa. Sullo slogan di Meloni e di Salvini su un'Italia più forte in Europa, io dico che noi abbiamo bisogno di un'Europa forte che garantisca per tutti i 27 Paesi. E poi per tutti i Paesi che vorranno e che meritano di entrare in questa grande famiglia attraverso il processo di integrazione.

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