Nell’eterno e ripetitivo dibattito sul peso e la valenza dei sondaggi in campagna elettorale (spoiler: i sondaggi, se fatti bene, sono strumento preciso e affidabile, fondamentali per politici e addetti ai lavori), c’è una cosa sulla cui utilità tutti dovrebbero concordare: la fotografia del bacino degli indecisi e degli astensionisti. È, o meglio sarebbe, un elemento imprescindibile sia per chi è indietro di 20 punti, sia per chi è in testa e infine per chi ha la necessità di capire come superare la soglia del 3%. Le ultime rilevazioni confermano che si tratta di un bacino piuttosto ampio. Per l’istituto Swg il 62% degli italiani ha già deciso di andare a votare; tra questi, solo il 50% è convinto del proprio voto, mentre gli altri sceglieranno negli ultimi giorni o addirittura ore di campagna elettorale. Insomma, non solo quasi un italiano su quattro non ha ancora deciso se votare, ma c’è ancora una quota molto rilevante di elettori che potrebbe essere convinta.
Se le cose stanno in questi termini, dunque, stiamo sbagliando a considerare già definito l’esito della corsa del 25 settembre? No, affatto. Per una serie di motivi strutturali, ma anche per ragioni che la dicono lunga sul livello di impreparazione con cui gran parte delle forze politiche è giunta all’appuntamento elettorale. Innanzitutto, va premesso che il vantaggio della coalizione di centrodestra è tale da poter difficilmente essere colmato anche nel caso in cui l'astensionismo calasse drasticamente. È una tendenza che emerge con forza da più di una rilevazione e che potrebbe addirittura aumentare negli ultimi giorni di campagna elettorale. Anche perché, questo è un altro punto dirimente, l'offerta elettorale è solo in apparenza ampia e diversificata: la comunicazione dei principali leader è appiattita sugli stessi topic, la lunga sfilza di promesse irrealizzabili rende quasi indistinguibile una proposta dall'altra, in pochi sono riusciti a marcare differenze sostanziali su temi cruciali. Sul punto, sempre Swg conferma come solo il 17% di chi ha già deciso cosa votare ha cambiato le proprie intenzioni di voto in questa campagna elettorale. Del resto, i cittadini si rendono perfettamente conto di come su questioni cruciali non è lecito attendersi cambiamenti sostanziali: dall'Ucraina alla campagna di vaccinazione, passando per il Pnrr e le politiche fiscali, i margini di manovra di qualunque governo saranno ridotti, per impegni già presi e per vincoli oggettivi.
Se il centrosinistra vuole provare a cambiare, o almeno correggere, l'esito di queste elezioni deve inventarsi un game changer. Non può bastare l'appello al voto utile per drenare consensi dalle altre forze politiche, deve trovare il modo di mobilitare indecisi e astenuti. È per questo che negli ultimi giorni i democratici stanno cominciando a stressare alcune keyword, cercando di portare il dibattito politico su un possibile “allarme per la democrazia”, in caso di ampia vittoria del centrodestra di Salvini e Meloni alle prossime elezioni. Da Orlando a Letta, passando per chi sta facendo campagna elettorale sul territorio, il canovaccio è simile: si parte dalla necessità di provare a impedire che la destra prenda i due terzi dai parlamentari, per arrivare a sostenere che ogni voto dato ad altre forze politiche è sprecato e “colpevolizzare” gli elettori che hanno invece intenzione di restarsene a casa il 25 settembre. È la versione riveduta e corretta di “altrimenti vince la destra”. È “se la destra vince con troppo vantaggio, la democrazia è a rischio”; e la colpa è vostra, è la chiosa finale.
Difficile dire se una tale strategia possa funzionare, o anche solo risultare credibile. La vittoria della destra era ampiamente prevedibile ed è arduo sostenere che a sinistra si sia fatto tutto il possibile per "fermare l'avanzata dell'onda nera", a cominciare dalla scelta di rompere un'alleanza programmatica e strategica con un partito che vale poco più del 10% dei voti, passando per l'incapacità di modificare un'improponibile legge elettorale, fino ad arrivare alle tante convergenze con gli avversari politici. Non c'è solo il governo Draghi con tre quarti della coalizione che ora dovrebbe essere un pericolo per la democrazia, c'è un letargo che va avanti da anni rispetto alla penetrazione di temi e messaggi nell'opinione pubblica. C'è una riforma della Costituzione approvata con troppa leggerezza, anche grazie al sostegno dei partiti di centrosinistra. E, non da ultimo, c'è l'aver subordinato ogni possibilità di far fronte comune contro le destre al sostegno a Draghi, che peraltro non sembra condividere allarmi di una certa portata.
Il centrosinistra ha contribuito ampiamente a sdoganare concetti e messaggi della destra, ne ha copiato pratiche e proposte e ne ha legittimato leadership e classi dirigenti: svegliarsi ora per urlare al pericolo di sovvertimento dell'ordine democratico è piuttosto discutibile e in ogni caso non può che apparire per quello che è, una mossa tesa a recuperare consenso elettorale.