È l’era dell’anti-establishment: se fino a pochi mesi fa il termine più in voga della politica era “populismo”, se le analisi dei media si concentravano sull’insorgere di partiti e movimenti di estrema destra in Europa, ora, dopo la vittoria inaspettata di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, l’unica risposta ai dubbi della politica sembra essere l’anti-establishment.
La Brexit del Regno Unito contro l’Unione Europea? Anti-establishment. Il muro di Donald Trump contro gli immigrati irregolari e i musulmani? Anti-establishment. Il voto in Spagna, le primarie in Francia? Sempre anti-establishment. E che dire del referendum costituzionale che fra pochi giorni ci porterà alle urne in Italia?
Anche qui la risposta è anti-establishment. Gli elettori sono stufi dello status quo, vogliono cambiamento, c’è rabbia e si vota contro. Anche a costo del buon senso, delle idee, dell’economia. Però siamo in Italia. E quindi si fa un po’ come cavolo ci pare, un po’ tutti. Siamo tutti Trump, tutti Brexit, tutti contro i “poteri forti” e a favore del cambiamento.
È la messa in scena dell’anti-establishment. Matteo Renzi si è ricordato di essere stato, dopotutto, da sempre il referente di questo sentire. “Io voglio cambiare il paese, non rimanere nella palude”, ha ripetuto il premier negli ultimi giorni. Subito dopo, Renzi ha sbattuto i pugni contro Juncker, Merkel, e ha perfino tolto la bandiera dell’UE dai suoi messaggi agli italiani.
Poco importa che Renzi sia al governo da tre anni, e che in questo periodo abbia calato ogni riforma dall’alto sfottendo, e mettendo all’angolo parti sociali, opposizioni, perfino i cittadini – come la volta in cui disse ai giovani ricercatori che lamentavano carenza di fondi ed opportunità: “Se volete andare all’estero fatelo”. Forse era anche quello anti-establishment, contro il potere forte dei ricercatori?
È tornato anche Beppe Grillo, con un video messaggio infuocato per ricordarci di votare contro la riforma costituzionale perché al governo ci sono: “Serial killer che uccidono il futuro dei nostri figli”, proseguito poi in un monologo un po’ confuso sull’ambiente. Dopo un paio d’anni di silenzio, il creatore del Movimento 5 Stelle ha voluto ricordarci che la voce dell’anti-establishment italiano è da sempre solo lui – dagli anni ’90 quando faceva i monologhi rompendo i computer fino ai vaffa-day e bla bla bla.
CHE COSA SIGNIFICA ANTI-ESTABLISHMENT. Ma tutto questo che c’entra con l’anti establishment? Facciamo un po’ d’ordine. Con anti-establishment si intendono quei sentimenti, di cui si sono appropriati partiti e politici di ogni schieramento – dallo xenofobo Trump al partito pirata pirati islandese al radicale Podemos spagnolo – per marcare un rifiuto del sistema politico, economico e sociale attuale. Il termine ha origine nei movimenti per i diritti civili degli anni ’60 americani, in cui la componente razzista era alla base della discriminazione.
Recentemente, il termine è stato ripreso in occasione delle proteste degli indignados spagnoli del 2011 e del movimento “Occupy Wall Street” negli USA. L’establishment, a seconda del contesto può essere il capitalismo tout court, o le istituzioni lontane e opache dell’Unione Europea, le lobby vicine al Congresso americano, e più in generale politici, partiti, media, sindacati ed organizzazioni della società in cui viviamo. Istituzioni ormai considerate troppo lontane dalla società civile, dai giovani, dal ceto medio impoverito. 99% della popolazione contro l’1% della finanza.
LE RAGIONI DI MATTEO RENZI. Ma veniamo a noi, perché cosa c’entra con l’anti-establishment il referendum del 4 dicembre? Il referendum costituzionale voluto dal governo di Matteo Renzi e parte del PD, intende modificare la costituzione per superare il bicameralismo italiano, e cioè il sistema in cui le due camere del Parlamento – Camera dei deputati e Senato – hanno gli stessi poteri, e dunque devono interagire per poter legiferare.
Secondo Renzi, questo meccanismo è ormai superato, e impedisce che il paese possa fare leggi in fretta. Riducendo il numero dei senatori e prendendo questi dai consiglieri regionali e dai sindaci, Renzi dice che l’Italia potrà risolvere questo problema. Inoltre, si interviene sul Titolo V della Costituzione, quello che specifica le competenze delle Regioni, riportandone il controllo allo Stato. Per intenderci, su materie che finora erano di competenza esclusiva regionale, come la sanità e i trasporti.
Esistono altri punti in questa riforma – qui c’è un elenco più esaustivo – ma nella sostanza al referendum del 4 dicembre si voterà per dare più potere al governo e allo Stato. Soprattutto se si pensa che con la nuova legge elettorale, l’Italicum, al partito che vince alle elezioni si conferiranno 340 seggi in Parlamento. Senza più un Senato paritario alla Camera dei deputati, questa concomitanza di Italicum e riforma costituzionale finisce per dare un potere al governo molto maggiore di ora.
Ora, se vogliamo possiamo pure dire che questa riforma cambierà il paese, perché sì, le riforme riformano (nel bene e nel male). Si possono mettere tutti i tricolori e promettere tutti i bonus, gli incentivi, le pentole e le bici col cambio shimano che si vuole – come ha fatto Matteo Renzi in questi giorni. Ma, di fatto, il 4 dicembre voteremo se dare maggiore potere all’esecutivo, e dunque al premier. Ma un governo, per definizione, deve rientrare a pieno titolo fra i titolari dell’etichetta “establishment”.
Per questo, parlare di una svolta anti-establishment in questo voto, in questo referendum, sembra puramente un esercizio mediatico. “Venite a votare il governo dell’anti-establishment per cambiare il paese”, sembra dire Renzi, ma questo messaggio non ha senso. Veniamo, invece, alle ragioni del Movimento 5 Stelle e di Beppe Grillo, loro che sono ormai da diversi anni il vero contenitore delle ragioni anti-establishment italiane.
LE RAGIONI DEL MOVIMENTO 5 STELLE. In questo articolo, Adriano Biondi traccia per Fanpage.it le ragioni del M5S per votare No al referendum costituzionale. Si tratta di salvare i principi della Carta dei Padri Costituenti, e quindi la sovranità del popolo. Di nuovo, il combinato della riforma costituzionale con la nuova legge elettorale comporta che: “I partiti si assicurino la possibilità di nominare direttamente almeno due terzi dei parlamentari, impedendo agli elettori di scegliere”. E togliendo la scelta elettorale dei senatori.
Per i pentastellati, inoltre, non si diminuirebbero davvero i costi della politica, un risparmio che per il governo ammonterebbe a 500 milioni di euro l’anno – cifra poi smentita anche dalla Ragioneria di Stato. I grillini, dopotutto, si sono appena visti rinviare in Commissione la propria proposta di legge per dimezzare gli sitpendi dei parlamentari, una legge ben più radicale rispetto al possibile risparmio che ci sarebbe da una riforma del Senato come prevista nel referendum di Renzi.
C’è la questione della norma che porta le firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare da 50mila a 150mila, un fatto che rende molto più difficile la creazione di momenti partecipativi della cittadinanza, uno dei punti forti del M5S. Ci sarebbe, infine, la questione di metodo, poiché storicamente in Italia le riforme costituzionali si sono fatte con ampi consensi parlamentari, mentre il governo Renzi da sempre preferisce agire da solo, i questo caso contro tutta l’opposizione e perfino parte dello stesso PD.
La sostanza delle posizioni del M5S, insomma, rimanda a scelte più radicali proprio in tema di anti-establishment, e a diverse scelte che riguardano la sovranità dei cittadini e la loro partecipazione. Contrapposte alla volontà di evitare che, con questo referendum, si diano maggiori poteri al governo, al premier, allo Stato contro Regioni e gli enti locali. La posizione di Matteo Renzi, invece, è opposta: “Datemi più potere perché così posso fare le leggi anti-establishment se no andiamo a casa”.
Certo, la posizione del M5S è più facile da mantenere, non essendo questo al governo. E per Grillo è forse più facile fare i video spot contro il potere. Ma nel confronto sull’anti-establishment Matteo Renzi perde, nella misura in cui la gente non è più disposta a credere in lui come promotore di cambiamento. Del resto, per un governo in carica da tre anni è sempre difficile fare la messa in scena dell’anti-establishment. E per Matteo Renzi, che la carta dei "poteri forti" l'ha già giocata troppe volte in passato, sembra essere un tentativo disperato.