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“Ministra” e “deputata” rimangono alla Camera, rinviato il ricorso su declinazione di genere

Rinviata la sospensione del ricorso di 47 dipendenti della Camera che chiedevano l’eliminazione della declinazione femminile nella documentazione legislativa. Il 25 ottobre prossimo si prenderà una decisione definitiva.
A cura di Maurizia Marcoaldi
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"Ministra" e  "ministro". "Deputata" e  "deputato". Così l’amministrazione della Camera aveva stabilito la declinazione di genere sia negli atti amministrativi che pubblici. Un cambiamento ormai in atto da due anni e particolarmente voluto dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, che vedrebbe nel linguaggio di genere, inserito negli atti parlamentari, non un puntiglio ma un superamento di stereotipi sociali che associano spesso il potere e il successo lavorativo solo a figure maschili.

Non tutti però avevano apprezzato la normativa e così 47 deputate avevano iniziato la protesta e avanzato un ricorso. Ma il consiglio giurisdizionale, che era pronto a sospendere il provvedimento, ha fatto un passo indietro: decisione rimandata. Per il 25 ottobre però arriverà comunque un pronunciamento definitivo in merito e forse, per accorciare i tempi, si bypasserà la possibile sospensione del provvedimento che doveva essere presa in questi giorni.

A introdurre il genere femminile nella documentazione era stata la circolare emanata dalla segretaria generale della Camera, Lucia Pagano. Ma non tutti erano stati d’accordo con il provvedimento. Il motivo del ricorso delle dipendenti della Camera? Come riportato su Repubblica, la normativa metterebbe in discussione "la libertà correlata all'identità sessuale, che è un risvolto dell'identità personale e quindi inerisce direttamente la personalità individuale, che l'art. 2 Cost. impone di garantire anche nelle formazioni sociali”. E ancora: "Con la declinazione al femminile della qualifica imposta dalla circolare in oggetto si concretizza la divulgazione di un dato sensibile, in assenza di espresso consenso da parte delle dipendenti interessate". 

Quello che denunciano è "l'unilaterale attribuzione da parte dell'Amministrazione dell'identità sessuale alle dipendenti sulla base della mera constatazione dei relativi dati anagrafici e della conseguente declinazione al femminile della relativa qualifica".

Ma c’è chi continua a sostenere che determinate parole e concetti non facciano emergere la presenza delle donne nella nostra società. E così la deputata Pd Titti Di Salvo ha depositato il 15 settembre 2017 alla Camera la proposta di legge: “ Disposizioni concernenti l'eliminazione delle discriminazioni linguistiche negli atti normativi e amministrativi. Delega al Governo per la revisione linguistica della legislazione relativa alla violenza di genere”.

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