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Migranti, Sea Watch: “Governo obbliga aerei Ong a obbedire ai libici, non vuole testimoni scomodi in mare”

Intervistata da Fanpage.it, la portavoce di Sea Watch Italia Giorgia Linardi spiega perché il nuovo decreto Flussi del governo Meloni – ancora in fase di revisione – ha due obiettivi: scaricare su altri Paesi le responsabilità dei soccorsi in mare e delle richieste d’asilo, ed evitare che ci siano aerei di Ong a testimoniare cosa accade nel Mediterraneo.
Intervista a Giorgia Linardi
Portavoce di Sea Watch Italia
A cura di Luca Pons
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Il governo Meloni ha discusso ieri, senza arrivare all'approvazione, un nuovo decreto Flussi che riguarda in realtà molti aspetti diversi delle politiche migratorie. Non solo una stretta sui trattenimenti e il diritto d'asilo, ma anche nuove e specifiche regole per gli aerei delle Ong che operano nel Mediterraneo. Anche se il via libera è rimandato al prossimo Cdm, e alcuni dettagli potrebbero cambiare, la linea sembra chiara.

Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia, ha spiegato a Fanpage.it perché questo intervento ricalca il decreto Piantedosi dello scorso anno (che aveva dato indicazioni simili alle navi) e quali sono i suoi due obiettivi. Da una parte, ancora una volta, cercare di scaricare sulla Libia o la Tunisia tutte le responsabilità per i soccorsi in mare, nonostante non siano Paesi sicuri, e obbligare gli aerei a seguire solo le loro indicazioni (cosa che va contro il diritto internazionale). Dall'altra, togliere di mezzo "testimoni scomodi" che possano osservare e riportare "l'altissimo costo in termini di vite umane" delle politiche migratorie italiane ed europee.

Il decreto impone agli aerei di Ong di informare le autorità responsabili per ogni avvistamento. Finora non lo facevate?

Noi per prassi già informiamo tutte le autorità competenti. Anzi, il problema che riscontriamo è quello opposto: nonostante i nostri tentativi di avvisarle, spesso i soccorsi repentini non avvengono.

Allora perché aggiungere un obbligo simile?

C'è una tendenza a favorire l'intervento libico, e anche questa norma va in quella direzione. Si insiste sul coordinamento dell'autorità "responsabile" per l'area Sar [area di ricerca e soccorso, ndr] in cui avviene l'avvistamento. Quindi, in moltissimi casi, l'autorità libica.

E non è giusto che a intervenire sia lo Stato nelle cui acque si trovano le imbarcazioni di persone migranti?

Questo è molto importante da sottolineare: per come sono formulate queste norme sembrerebbe che le aree Sar siano come dei territori di sovranità nazionale. Ma non è così. Le aree Sar sono aree di responsabilità (infatti si parla di autorità "responsabili" per quella zona), ma non di giurisdizione.

Quindi, solo perché una barca in difficoltà si trova in area Sar libica non vuol dire che solo le autorità della Libia debbano intervenire?

Assolutamente. Non si parla di acque libiche, ma di acque internazionali. Però dall'accordo Italia-Libia del 2017, c'è una tendenza in corso: creando nuove aree Sar, si cerca di fare in modo che le autorità europee non abbiano più alcuna competenza. La tendenza si sta sviluppando anche con l'accordo con la Tunisia, e non a caso negli scorsi mesi è stata creata l'area Sar tunisina.

Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia
Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia

Le autorità europee, incluse quelle italiane, cercano di ‘scaricare' le responsabilità su quelle nordafricane, come Tunisia e Libia?

Sì. Tutto nasce da una condanna storica che l'Italia ha subito nel 2012: prima, l'Italia aveva un altro accordo con la Libia, per cui poteva intercettare le persone in mare e portarle in Libia con le proprie navi militari. Ma le persone che erano state respinte in Libia fecero ricorso alla Corte europea per i diritti umani, e la Corte condannò l'Italia per i respingimenti collettivi.

Per questo, qualche anno dopo, l'accordo con la Libia è cambiato?

Non a caso nel 2017, con la nuova intesa, l'Italia ha cominciato a formare la cosiddetta Guardia costiera libica, a donare motovedette… tutto quello che serve per far sì che siano i libici a interagire con le persone migranti.

E questo come si collega questa tendenza al nuovo decreto (ancora in bozza) del governo Meloni?

Le Ong che operano in mare creano un ‘legame' tra le persone migranti (che hanno il diritto di essere soccorse e fare richiesta di asilo) e l'Italia, che ha delle responsabilità previste dal diritto internazionale. Questo decreto cerca di tagliare quel legame.

Obbligando anche i vostri aerei a rivolgersi alla Libia?

Si vuole dare alla Libia tutta la responsabilità per il soccorso di queste persone. L'idea è di applicare la famosa legge Piantedosi del 2023, che riguarda le nostre navi, anche agli aerei. Ma si ignora che questo coordinamento non può avvenire.

Perché?

Perché obbedire ai libici significherebbe rendersi complici di una violazione del diritto internazionale, cioè favorire il respingimento coatto di queste persone in un Paese in cui la loro vita è a rischio. Il fatto che la Libia non sia un Paese sicuro è riconosciuto dalla comunità internazionale. Per la Tunisia la situazione è più delicata, ma ci sono sempre più evidenze di veri e propri pogrom e deportazioni nel deserto.

Questo vuol dire che, legalmente, non potete essere obbligati ad ascoltare gli ordini delle autorità libiche?

Il diritto internazionale viene prima di qualunque decreto o legge nazionale. Anche quelle che cercano di distorcerlo. Durante le operazioni dei nostri aerei noi richiediamo il coordinamento con le autorità responsabili: ma poi se tu avvisi i libici e i libici non intervengono, oppure arrivano ma il loro intervento si conclude con una violazione del diritto internazionale, a quel punto tu hai il dovere di rivolgerti a qualcun altro.

Tanto più che la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo promuove la collaborazione tra Stati per salvaguardare la vita in mare ed effettuare i soccorsi nel più breve tempo possibile. Il governo può cercare in tutti i modi di imporre una barriera di separazione, a dire "qualsiasi cosa avvenga in quel pezzo di mare, non ci riguarda e ve la sbrigate con i libici". Ma non funziona così.

Quando si parla di "coordinarsi con i libici", concretamente cosa significa?

Noi abbiamo mostrato negli anni in tutte le sedi possibili – dal Parlamento europeo alle commissioni Difesa e diritti umani del Parlamento in Italia – le condotte delle autorità libiche, e ultimamente anche tunisine. Spari, violenze fisiche, di tutto e di più. Di recente, la nave Geo Barents di Medici senza frontiere ha addirittura subito minacce di uso della forza. Sono "autorità" spesso formate da criminali, e anche questo è stato ampiamente dimostrato. E a noi viene chiesto di obbedirgli.

L'obiettivo di fondo di un decreto come quello discusso ieri in Cdm qual è?

È l'ennesimo tentativo di liberarsi di un testimone scomodo in mare. Ostacolare il più possibile la presenza delle Ong. Non solo per evitare di prendersi le responsabilità delle persone da soccorrere, come dicevo. Ma anche evitare che i nostri aerei mostrino gli effetti delle politiche italiane ed europee nel Mediterraneo.

Quali sono questi effetti?

Un altissimo costo in termine di vite umane. Prendo un esempio recente: il naufragio del 4 settembre. Sono sopravvissute sette persone, e 21 sono morte. Noi abbiamo condiviso delle immagini che con tutta probabilità (sarà la magistratura ad accertare) mostrano che quelle persone erano state avvistate dal nostro aereo già due giorni prima. E non è il primo caso. Testimoniamo situazioni di non intervento, di abbandono in mare.

La bozza del decreto prevede anche sanzioni per i piloti di aerei che non obbediscono: una multa fino a 10mila euro. Poi scatta il fermo dell'aereo, e in caso di reiterazione c'è il sequestro. Ma soprattutto, si accorciano i tempi per fare ricorso contro questo fermo: solo dieci giorni, invece di due mesi. È grave per voi?

In generale è gravissimo che si restringa la possibilità di fare ricorso alla giustizia. Anche se non si parlasse nello specifico di Ong e delle nostre attività, tutti gli italiani dovrebbero essere preoccupati da fatto che si riducano i tempi per ricorrere contro le sanzioni amministrative.

Perché accorciare questi tempi proprio per voi?

Perché, nonostante la legge Piantedosi del febbraio 2023 sia relativamente giovane, sono già diversi i casi in cui, dopo un ricorso, i tribunali hanno sospeso il fermo delle navi. Questo escamotage vuole ridurre le possibilità di rivolgersi alla giustizia, per ridurre le possibilità che il tribunale sospenda il fermo, e quindi indebolisca questo decreto, mostrandone l'ingiustizia. È la stessa cosa che hanno fatto con l'accordo Italia-Albania.

In che senso?

Dopo le raffiche di decisioni dei tribunali italiani, che hanno massacrato letteralmente la legge Cutro per quello che riguarda i trattenimenti di richiedenti asilo, guarda caso il governo è saltato fuori con l'idea di spostare il sistema dei centri dei trattenimento in un altro territorio.

Nei centri in Albania però, ha insistito il governo Meloni, si applicheranno comunque le leggi italiane.

In teoria sì, ma non è ancora chiaro quale sarà il ruolo della giustizia italiana. Certamente sarà più facile sfuggire al monitoraggio della corretta applicazione della legge.

Il resto del decreto – di nuovo, ancora in bozza – contiene una serie di norme che complicano l'accesso alle domande di asilo e facilitano i trattenimenti di cui parlava. Si inseriscono nello stesso ‘disegno'?

Sì, in linea con le politiche che l'Italia sta già mettendo in atto. Le procedure accelerate alla frontiera, con un'analisi più sommaria per decidere chi può avere accesso all'asilo. Più detenzioni, anche per famiglie e minori. Più possibilità di deportazione o rimpatrio in Paesi non sicuri. Anche a livello europeo, il nuovo Patto su migrazione e asilo (che nei prossimi due anni gli Stati Ue metteranno in pratica) legittima politiche come queste. Il diritto all'asilo è fondamentale per godere di tutti i propri diritti umani. E quindi è naturale che venga ristretto da un governo che certamente non ha a cuore i diritti umani.

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