Migranti, Meloni attacca ancora i giudici sull’Albania: “Non rispettano le leggi del Parlamento”
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La presidente del Consiglio ha avuto una nuova occasione di attaccare i giudici italiani che si sono occupati dei centri migranti in Albania finora, e l'ha sfruttata. Intervenuta alla Conferenza per le politiche di contrasto all'immigrazione irregolare, Giorgia Meloni ha parlato davanti a prefetti e questori e ha ribadito ancora una volta che il governo intende "portare avanti il protocollo Italia-Albania" e "trovare una soluzione ad ogni ostacolo che appare". Poi ha detto che le decisioni prese fino a oggi dai giudici si basano su motivazioni "fragili" e disattendono "quanto stabilito con legge dal Parlamento italiano".
Per contrastare l'immigrazione irregolare servono "soluzioni pragmatiche, non ideologiche", ha aggiunto la premier. I centri in Albania però, almeno fino a oggi, sono sembrati tutt'altro che pragmatici. A quasi un anno e mezzo dalla firma del protocollo con il governo albanese, poche decine di persone sono state portate nei centri e sempre rimandate in Italia dopo pochi giorni. Ora i centri sono vuoti e numerose indiscrezioni riportano che il governo starebbe pensando di cambiarli, facendo un passo indietro, come ha in parte confermato il ministro dell'Interno Piantedosi.
Meloni però si è concentrata sulle decisioni dei giudici che finora hanno reso impossibile confermare i trattenimenti delle persone portate in Albania. Nei centri albanesi può rimanere solo chi riceve la procedura accelerata per la richiesta di asilo. E questa può riguardare solo chi proviene da un Paese sicuro. Ma finora i giudici hanno stabilito che le persone migranti arrivate in Albania, a causa delle loro situazioni individuali, non venivano da Stati sicuri, nonostante si trattasse di posti (Bangladesh e Egitto, soprattutto) che il governo Meloni ha inserito in una lista di Paesi sicuri.
Il motivo è che la norma europea in materia stabilisce che i giudici, a prescindere dalle indicazioni dei governi, devono sempre e comunque verificare le condizioni delle singole persone migranti per capire se il requisito della ‘sicurezza' c'è. Cosa che il governo Meloni non ha accettato. Prima ha provato a cambiare le leggi italiane sul tema, senza ottenere risultati, poi ha deciso di proseguire lo stesso con i trasferimenti nonostante non ci fossero novità.
Oggi, la premier è tornata a chiedere che cambino direttamente le norme europee anticipato "l'entrata in vigore del nuovo Patto asilo e migrazione" prevista per il 2026. In particolare, le norme "sulla definizione di Paese terzo sicuro, per fare chiarezza su un tema molto controverso". Finora, ha detto Meloni, i provvedimenti dei giudici "appaiono disattendere quanto stabilito con legge dal Parlamento italiano". "Rivendichiamo", ha insistito, "il diritto della politica di governare", e "sui flussi migratori l'indicazione dalla maggioranza dei cittadini molto chiara". Il diritto dei giudici, però, è verificare che le norme siano applicate nel modo corretto.
Anche "l'argomentazione della supremazia della normativa europea su quella italiana", ha continuato la premier, "se posso dire, appare fragile". La presidente del Consiglio ha più volte criticato le sentenze sul piano giudiziario, spesso facendo confusione su come funzionano le norme di cui parla. Oggi ha portato un nuovo esempio: "La Germania rimpatria migranti in Afghanistan senza che questo sia reputato dai giudici tedeschi in contrasto con la normativa europea".
A "fare chiarezza" sarà una sentenza della Corte di giustizia Ue, attesa già la prossima settimana. Meloni ha detto di sperare che la Corte "scongiuri il rischio di compromettere le politiche di rimpatrio non solo dell'Italia ma di tutti gli stati membri dell'Unione europea".