Migranti, l’Italia rinnova il Memorandum con la Libia (che per l’ONU non è un porto sicuro)
Si rinnova il Memorandum tra Italia e Libia per la gestione dei flussi migratori. Non c'è stato alcun intervento del governo per smantellare l'accordo e così oggi, 2 novembre 2022, scatta la proroga automatica per altri tre anni. Ormai ne sono passati cinque, di anni, da quanto il governo Gentiloni ha sottoscritto il patto con Tripoli per contenere le partenze dei richiedenti asilo: in tutto questo tempo le organizzazioni umanitarie hanno più volte lanciato appelli per cancellare l'accordo, additandolo come responsabile del respingimento di migliaia di persone in Libia, dove detenzioni arbitrarie, violenze e violazioni dei diritti umani sono all'ordine del giorno.
Questo non è accaduto e oggi il Memorandum si rinnova per altri tre anni. L'articolo 8, infatti, prevede che l'accordo abbia validità triennale e che venga automaticamente rinnovato alla scadenza "salvo notifica per iscritto di una delle due parti contraenti, almeno tre mesi prima della scadenza del periodo di validità". Il governo aveva quindi tempo fino al 2 novembre per intervenire, se voleva evitare il rinnovo nel 2023, ma così non è stato: né l'esecutivo guidato da Mario Draghi né quello di Giorgia Meloni hanno affermato la volontà di rivedere l'accordo, nonostante le spinte dalla società civile.
La protesta delle Ong contro il rinnovo del Memorandum
Alcune settimane fa oltre quaranta organizzazioni umanitarie erano scese in piazza per protestare contro il rinnovo del Memorandum, denunciando l'illegalità dei respingimenti in mare e le condizioni disumane a cui erano riportati i migranti che venivano intercettati dalla cosiddetta Guardia costiera libica.
Secondo quanto stabilito dal Memorandum, l'Italia fornisce supporto di natura economica e tecnica alle autorità libiche per contenere i flussi dei migranti e scongiurare le partenze illegali. Il governo italiano fornisce quindi motovedette e formazione alla cosiddetta Guardia costiera libica. Che però le Ong accusano di collaborare direttamente con gli scafisti e i trafficanti di umani.
Le Nazioni Unite hanno più volte ribadito che la Libia non può essere considerata un porto sicuro. E pertanto che nessuno dovrebbe essere ricondotto nel Paese dopo essere stato intercettato nel Mediterraneo. Eppure dal 2017, quando è stato stretto l'accordo, circa 100 mila persone sono state riportate in Libia dai militari di Tripoli.
Secondo Sea Watch dal 2017 l'Italia avrebbe speso oltre 32 milioni e mezzo di euro in supporto alla Guardia costiera libica. "Il risultato: un ciclo brutale di sfruttamento, estorsione e abusi in cui sono intrappolate le persone che passano per la Libia", scrive la Ong accusando il Memorandum di legittimare la violenza tanto in Libia quando nel Mediterraneo.
"La Libia non può essere considerato un luogo sicuro. Il quadro politico è particolarmente instabile, e le violenze contro la popolazione crescono di anno in anno, così come il numero delle persone sfollate. Nel Paese è pressoché impossibile fornire una protezione significativa alle persone vulnerabili. Le opzioni sicure e legali per fuggire sono limitate sia nell’accesso sia nei numeri", ha denunciato anche Amnesty International chiedendo all'Europa di assumersi le sue responsabilità e all'Italia di cancellare gli accordi con la Libia.
Il ministro Piantedosi e la linea sui flussi migratori
Intanto il nuovo governo ha già messo in chiaro quale sarà la linea del Viminale sulla gestione dei flussi migratori. Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha già detto che si possono vietare gli sbarchi delle navi umanitarie in Italia, e oggi in un'intervista del Corriere della Sera ribadisce: "Non possiamo farci carico dei migranti raccolti in mare da navi straniere che operano sistematicamente senza alcun preventivo coordinamento delle autorità. Al momento questi eventi rappresentano il 16% delle persone sbarcate in Italia. Ma poiché ci facciamo già carico del restante 84% dei migranti arrivati sulle nostre coste, con altri mezzi o salvati da noi, auspichiamo che la tanto sbandierata solidarietà europea si realizzi. E non solo attraverso i ricollocamenti, peraltro finora sostanzialmente falliti, ma anche accettando di farsi carico dell’accoglienza di quella minima parte che sostanzialmente mette piede per la prima volta in quegli stessi Paesi europei ai quali appartengono le navi che li raccolgono in acque internazionali".
E nel frattempo, nel momento in cui si scrive, ci sono circa mille persone bloccate nel Mediterraneo, a bordo delle navi umanitarie che le hanno soccorse, che attendono da giorni di poter sbarcare in un porto sicuro.