Migranti, l’Europa piange i morti ma respinge i vivi
La notte tra i due e il tre ottobre del 2013, un'imbarcazione gremita di persone è affondata al largo delle coste di Lampedusa, poco lontano dall'Isola dei Conigli. Nel naufragio morirono 368 migranti – venti, invece, i dispersi. Furono alcuni pescatori locali all'alba del giorno dopo a vedere in acqua persone tra le chiazze di gasolio e a chiamare per primi i soccorsi. Vennero tratti in salvo in tutto 155 migranti, tra cui 41 minori.
Lo scorso marzo l'Aula del Senato ha deciso l'isituzione per il 3 ottobre della "Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione" – che si celebra oggi per la prima volta. Pur non essendo stata la prima, infatti, quella del 2013 è diventata una tragedia simbolo di tutte le altre: da quel momento in poi, l'Italia e l'Europa sembrano essersi accorte di quel cimitero che da anni è diventato il Mediterraneo.
Le istituzioni italiane ed europee hanno più volte ripetuto che dopo Lampedusa nulla sarebbe più dovuto essere come prima: la tragedia avrebbe dovuto funzionare come monito, come punto di non ritorno per cambiare le cose. Anche l'allora presidente della Commissione europea José Manuel Barroso aveva espresso cordoglio nei giorni appena successivi al naufragio, sostenendo che l'Europa non poteva "girare le spalle" di fronte al dramma dei rifugiati e che non si sarebbero più dovute verificare tragedie del genere.
Considerate le promesse e le dichiarazioni, dunque, il senso di una giornata per ricordare ogni anno la strage di Lampedusa, al di là delle commemorazioni, dovrebbe essere quello di un promemoria, una sorta di check periodico per vedere se davvero si sta facendo in modo che "non accada più". A conti fatti, però, a tre anni dal 3 ottobre 2013, non è cambiato molto.
Il 14 ottobre del 2013 il ministro dell'Interno Angelino Alfano ha annunciato l'avvio della missione umanitaria militare Mare Nostrum – con l'obiettivo di "risolvere il problema degli sbarchi" e soccorrere le imbarcazioni in difficoltà. In seguto la missione è stata sostituita da Triton – di matrice europea e con focus diverso – poi affiancata da EunavForMed.
Le stragi in mare, però, non si sono fermate: secondo i dati dell'Unhcr, nel 2016 ci sono state 3.498 vittime, praticamente un morto ogni quarantadue profughi che si mettono in viaggio. Una percentuale cresciuta rispetto a quella dell'anno scorso. "Dal 3 Ottobre 2013 ad oggi, la tragica conta dei migranti e rifugiati morti e dispersi nel Mediterraneo non si è fermata, anzi. Siamo ad oltre 11.400", ha spiegato Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr per il Sud Europa. "Non possiamo – ha aggiunto – considerare queste tragedie con indifferenza e assuefazione". Secondo l'agenzia dell'Onu per i rifugiati, quest'anno hanno attraversato il mar Mediterraneo oltre 300.000 persone, di cui il 28% bambini, molti non accompagnati o separati dalle loro famiglie. Solo nelle ultime 24 ore nel Canale di Sicilia sono stati soccorsi più di 5.600 profughi – anche se la cifra sembra destinata a salire, considerato che si trattava della prima giornata con condizioni favorevoli dopo giorni di maltempo.
Sami ha ricordato che esistono delle alternative "legali e sicure" ai viaggi in mare che andrebbero implementate, come i corridoi umanitari, i ricongiungimenti familiari, o i visti: "Possibilità concrete affinché le persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, possano arrivare in un luogo sicuro senza dover intraprendere viaggi pericolosissimi rischiando la vita, ancora una volta". Per il momento, però, si tratta solo di piccole sperimentazioni, a cura di organizzazioni o associazioni.
Recentemente il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva polemizzato sulle politche comunitarie sul tema migranti, sostenendo di non poter lasciare "che un problema come l'immigrazione esploda per l'incapacità dell'Europa: il punto non è che noi vogliamo accogliere e loro no. Se è giusto salvare tutti in mare, non è giusto accogliere tutti solo in Sicilia e Puglia. Noi siamo italiani, quindi generosi, però non possiamo lasciare che un problema come l'immigrazione esploda per l'incapacità dell'Europa".
A tre anni da Lampedusa, infatti, il tema immigrazione è diventato la grossa patata bollente dell'Unione europea, tra decisioni unilaterali di chiudere i confini, scricchiolii dell'aerea Schengen – che è sembrata più volte sul punto della chiusura – la costruzione di muri e l'imperversare di nazionalismi con proposte anti migranti. Un esempio è il referendum che si è tenuto domenica in Ungheria per decidere se accettare o meno la distribuzione dei profughi dell'Ue – un voto che acquista ancora più valore simbolico considerato che si parla di una cifra molto piccola: circa 1.300 persone.
Il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, durante le commemorazioni che si svolgono oggi sull'isola, ha richiamato l'Unione a fare la sua parte, ricordando il cordoglio espresso dalle istituzioni tre anni fa: "Dall'Ue ci aspettiamo che la solidarietà si estenda nei confronti dell'Italia, della Grecia e di tutte le Lampedusa del Mediterraneo. Sbrigatevi perché il prezzo delle politiche di chiusura lo pagano anche comunità come quelle della nostra isola".
A tre anni dalla strage di Lampedusa, insomma, il bilancio è impietoso: mentre nel Mediterraneo si continua a morire, in Europa si piangono i morti e si respingono i vivi.