Migranti, i giudici di Milano bloccano le espulsioni per effetto del decreto Minniti-Orlando e chiedono l’intervento della Corte Ue
Il decreto Minniti-Orlando – varato lo scorso anno dall'Esecutivo Gentiloni e inerente alla regolamentazione dell'accoglienza dei migranti su suolo italiano – potrebbe avere vita molto breve. Stando a una decisione dei giudici del tribunale di Milano, le norme che prevedono l'abolizione dell'appello per i ricorsi relativi alle richieste di protezione dei richiedenti asilo contrasterebbero con il diritto dell'Unione Europea. I giudici di Milano hanno interpellato la Corte di Giustizia europea chiedendo di chiarire se la sola decisione dei tribunali ordinari può di fatto rendere effettivamente esecutiva la bocciatura della richiesta prima che intervenga la Cassazione. In sostanza, il decreto Minniti-Orlando ha di fatto tolto un grado di giudizio ai soli migranti e dunque al momento la normativa prevede che le persone straniere la cui domanda di protezione sia stata bocciata in via amministrativa dalle Commissioni territoriali ministeriali, abbiano come unica possibilità il ricorso "all'appello" presso i tribunali ordinari, dunque non un vero e proprio appello. In caso di bocciatura della richiesta da parte dei tribunali competenti, la decisione diviene effettiva senza sospensiva e dunque il migrante non ha più titolo a restare in Italia e può essere espulso in ogni momento, salvo fondati motivi ravvisati dallo stesso tribunale. In sostanza, in attesa della decisione della Cassazione, il migrante non può appellarsi ad alcun altro organo e potrebbe essere espulso verso il Paese d'origine dopo un solo grado di giudizio.
Come spiega il Corriere della Sera:
"Questo assetto normativo — scrivono ieri il presidente della sezione immigrazione Patrizio Gattari, la giudice relatrice Martina Flamini e la collega Patrizia Ingrascì dopo non aver creduto alla discriminazione omosessuale narrata da un nigeriano — ‘non rispetta alcuni principi che rappresentano le pietre angolari del diritto dell’Unione Europea. Tre. Il primo è che ‘viola il diritto ad un rimedio effettivo': nel diritto di difesa c’è il diritto al contraddittorio, che comprende il diritto di confrontarsi con il proprio avvocato e di esporre sino alla fine all’autorità giudiziaria tutti gli elementi in proprio possesso, anche sopravvenuti: ma se lo straniero viene rispedito dall’altra parte del mondo, diventa non solo impossibile curare con il proprio avvocato il ricorso, ma anche «non è più garantita l’utilità della futura sentenza, con conseguente lesione dell’effettività della tutela': la Corte Ue l’ha già detto nel 2007 nel caso Unibet tra in materia di giochi d’azzardo, un po’ meno importanti delle persone.
Il secondo punto è un difetto di imparzialità del giudice, se a rigettare la domanda di protezione è lo stesso a cui spetta ravvisare i «fondati motivi» eccezionalmente pretesi dalla legge come unica chance dello straniero di restare in Italia in attesa.
La terza ragione è l’irrazionalità della violazione del principio di equivalenza: in tutte le altre materie le norme italiane ammettono la possibilità di sospendere l’esecutività delle sentenze civili di primo grado di fronte a un «pericolo di danni gravi e irreparabili», mentre solo nel caso dei migranti pretendono una prognosi di «fondati motivi» di accoglimento.
I giudici milanesi, dunque, hanno scelto di interpellare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo e posto una "questione pregiudiziale" con procedura d'urgenza al fine di permettere alla Corte Ue di valutare l'effettiva correttezza delle norme contenute all'interno del Minniti-Orlando. La risposta dovrebbe arrivare tra circa 7-8 mesi e fino ad allora, "come proprio ieri nel caso del nigeriano, il Tribunale di Milano concederà ai migranti la sospensione delle conseguenze dei propri rigetti e dunque la permanenza in Italia in attesa della Cassazione, pressoché in via automatica ad esclusione dei ricorsi palesemente campati per aria o minati da vizi di forma".