Migranti, giovane 31enne etiope rapito e venduto ai libici, l’appello: “Vi prego fate presto”

“Non ho i soldi per salvare la vita di mio fratello”, ripete al telefono Hailekiros Hagos fratello di Tesfay Hagos, 31 anni, etiope, andato via come tanti dal suo paese per cercare un futuro migliore in Europa.
Dall’altra parte del Mediterraneo, però, Tesfay non è mai arrivato: un video lo ritrae legato mani e piedi, il volto schiacciato nel fango dallo stivale di uno dei suoi torturatori e il corpo contratto dal dolore ad ogni colpo di frusta. “Mi hanno inviato questo video il 5 marzo chiedendomi prima 8000 e dopo 10000 dollari per liberare mio fratello o lo uccideranno”, continua Hailekiros.
Da quasi un mese Tesfay è detenuto a Kufra, in Libia, dopo essere stato rapito da trafficanti etiopi ed eritrei e venduto a quelli libici.
"Tesfay viene torturato quotidianamente. Picchiato fino a fargli perdere la voce, privato del cibo, privato dell'acqua", continua il fratello. Nei video visionati da Fanpage.it uomini che parlano in arabo lo frustano con barre di metallo e gli premono la testa a terra mentre la telecamera riprende. In queste immagini Tesfay appare legato, a torso nudo, il corpo contuso, rasato a zero e sanguinante. Ogni giorno il fratello riceve messaggi vocali in cui si sente la voce tremante di Tesfay che tra i singhiozzi chiede di “fare presto”.
I video e gli audio inviati alla famiglia Hagos per avere denaro in cambio della vita di Tesfay, sottolineano ancora una volta che quello che avviene in Libia è un vero è proprio business sulla pelle dei migranti, un modo per fare denaro non solo per i trafficanti libici, ma anche per quelli dei paesi di provenienza, e per chi i trafficanti li protegge.
“Il rilascio di Almasri, un famigerato trafficante di esseri umani, rimandato in Libia su un aereo di Stato, è la prova della responsabilità italiana delle torture inflitte a Tesay, e a tutti gli altri rifugiati in Libia”, dichiara a Fanpage.it David Yambio, il portavoce di Refugees in Libya. “Sappiamo che Tesfay è stato inizialmente catturato da un gruppo di trafficanti e poi venduto ad un altro, come bestiame. Sappiamo che almeno altre 450 persone sono detenute con lui. Uomini neri. Donne nere. Bambini. Tutti in attesa. Tutti sperano che le loro famiglie riescano in qualche modo a mettere insieme migliaia di dollari, altrimenti saranno uccisi”, continua l’attivista per i diritti umani, “noi di Refugees in Libya abbiamo presentato un rapporto completo alle autorità libiche. Abbiamo verificato l'identità di Tesfay utilizzando foto di famiglia, documenti governativi e videochiamate in diretta con suo fratello. Abbiamo raccolto foto, video, audio, metadati e li abbiamo inviati a Tripoli, alle cosiddette ‘task force’ create per indagare sulla tratta di esseri umani. Loro hanno confermato la ricezione ma nessuno ha fatto niente”.
Dopo aver ricevuto la prima chiamata da parte dei trafficanti libici Hailekiros Hagos è andato subito a denunciare l’accaduto: “Ho segnalato la questione alla Commissione regionale di polizia etiope. Ma loro hanno dichiarato che la cosa non li riguarda. Il governo Etiope non ha un’ambasciata in Libia, io non so a chi devo rivolgermi. Non ho soldi per salvare la vita di mio fratello. Sono un impiegato statale, veniamo da una famiglia di contadini, il mio stipendio è molto basso. Mi chiedo solo perché il governo libico non riesce a raggiungere questi profughi e liberarli?”.
Ma anche quando le prove sono abbondanti, quando i video mostrano le torture in tempo reale, quando si conoscono i numeri di telefono dei trafficanti, quando si hanno i nomi completi delle vittime, come nel caso di Tesfay, nessuno agisce. Non il governo libico, lo stesso con cui da otto anni l’Italia ha un "Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale e del traffico di esseri umani”, non la polizia dei paesi di provenienza, non le organizzazioni internazionali.
“Non si tratta solo di Tesfay – conclude Yambio – si tratta di un ordine globale che accetta la degradazione di massa della vita dei neri. È un sistema in cui gli uomini africani vengono rapiti, torturati e venduti alla luce del sole, e nessuno ne risponde. Se Tesfay muore la colpa apparterrà agli ufficiali in Etiopia che si sono rifiutati di sporgere denuncia. Apparterrà alla polizia libica di Kufra che si è rifiutata di intervenire. Apparterrà alle agenzie internazionali che hanno ignorato la nostra richiesta. Apparterrà all’Italia che protegge e finanzia i trafficanti libici”.