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Migranti, ecco tutto quello che non torna dell’accordo di Malta

È su base volontaria, riguarda solo i migranti salvati in mare, non affronta lo scoglio dei rimpatri, e nemmeno quello delle operazioni della guardia costiera libica che riporta i migranti in porti “non sicuri”: sebbene l’accordo di Malta sia un passo avanti, i dubbi sono molti. E la paura che tutto si possa arenare di nuovo, e fare il gioco di Salvini, pure.
A cura di Vitalba Azzollini
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L’Italia è di nuovo un Paese “normale” che siede a un tavolo ove si discute di immigrazione. Chiuso il sipario sul palcoscenico dei social usato dal ministro dell’Interno precedente, a Malta il ministro attuale – Luciana Lamorgese – c’era, e basterebbe già solo questo per parlare di un ottimo risultato. Fatta tale premessa, serve esaminare in concreto se i coinvolti abbiano raggiunto un risultato importante o solo una fragile intesa. Non è ancora noto il testo ufficiale dell’accordo – che sarà discusso con gli altri ministri dell’Interno dei Paesi dell’Unione europea il 7 e l’8 ottobre in Lussemburgo – ma i comunicati stampa e i resoconti dei giornali consentono di avere un quadro completo dei punti essenziali, sì da poter formulare qualche osservazione a contorno. Si anticipa la conclusione: meglio di niente, ma i margini di ambiguità sono molti.

Innanzitutto, la ripartizione riguarderà solo i migranti salvati in mare – da ONG, mezzi militari e navi commerciali – dunque non tutti quelli che arrivano. Come rilevato da Matteo Villa dell’Ispi, ciò significa che “si cercherà di redistribuire il 90% dei soccorsi in mare nel Mediterraneo centrale. Il che equivale all’8% del totale degli sbarchi in Italia”. Non sembra vi sia il rischio che la redistribuzione solo dei “salvati” possa disincentivare i salvataggi da parte degli Stati poi chiamati a farsi carico dei migranti: questi ultimi sarebbero partiti in ogni caso, e comunque le ONG – i soggetti più coinvolti nei soccorsi – hanno sempre operato autonomamente rispetto ai governi degli Stati di bandiera. Vale la pena sottolineare che la legge Sicurezza bis “criminalizza” le ONG che operano salvataggi in mare: ma proprio le ONG divengono ora protagoniste in positivo, poiché – come detto – secondo l’accordo di Malta, solo i migranti salvati saranno ripartiti. Eppure, esponenti del nuovo governo insistono a ribadire che tale legge non sarà modificata, se non per i rilievi in tema di sanzioni del Capo dello Stato: si nota una certa incoerenza.

Al momento, non sono state definite quote di ricollocamento, che saranno fissate in relazione al numero degli Stati aderenti all’intesa finale nel prossimo ottobre. L’adesione sarà volontaria, ma la firma dell’accordo comporterà l’obbligo di accoglienza: eventuali “sanzioni” per gli Stati non solidali non sono oggetto dell’accordo stesso, ma verranno disposte dall’UE. Questo potrebbe rappresentare un elemento di fragilità del meccanismo: da un lato, si rende negoziabile la solidarietà, quantificandola in termini di minori fondi UE; dall’altro, non c’è certezza delle sanzioni.

L’intesa riguarderà la ripartizione non solo dei potenziali aventi diritto alla protezione internazionale, ma anche dei cosiddetti migranti economici. Per quattro settimane gli stranieri resteranno nel Paese di primo sbarco, poi quelli da ricollocare verranno portati nella nuova destinazione, ove sarà avviata l’istruttoria per l’eventuale concessione di un permesso di soggiorno. Ne discende che i Paesi ove essi arrivano dovranno provvedere alla prima accoglienza e alle relative misure di sicurezza, ad esempio al fine di evitare che gli ospiti fuggano per raggiungere le mete che si sono prefissi come obiettivo finale del viaggio. Ciò rende opportuno aprire una parentesi: i Paesi partecipanti all’accordo, in cui i migranti saranno ricollocati, non sono necessariamente quelli ove questi ultimi potrebbero trovare, ad esempio, “maggiori opportunità nel mercato del lavoro”. La logica dell’intesa di Malta resta, quindi, di tipo “emergenziale”, anche se di fatto non c’è un’emergenza: in altri termini, non si riesce ancora ad affrontare il tema delle migrazioni come un fenomeno da governare. Qualora le istruttorie per l’asilo si concludano con esito negativo, lo Stato che le ha condotte dovrà provvedere al rimpatrio dei migranti non accettati. Si era parlato dell’intervento dell’Unione europea per la gestione dei rimpatri, previo accordi con i Paesi di provenienza, ma al momento questo profilo non pare chiaro. Se i rimpatri restassero a carico degli Stati destinatari della ripartizione, tornerebbe all’attenzione quanto affermato dal presidente francese Macron nei giorni scorsi: egli aveva parlato della possibilità di accogliere solo persone che giungono da Paesi con cui la Francia ha accordi di rimpatrio, sì da renderne possibile il rientro nei luoghi di origine, se non aventi diritto al permesso di soggiorno. Con questo paletto, il meccanismo previsto si incepperebbe.

Nell’accordo si prevede un principio di rotazione “volontaria” dei porti di sbarco dei migranti soccorsi, nonostante Italia e Malta volessero una rotazione “obbligatoria”, mentre per Francia e Germania il criterio dovesse essere quello del porto sicuro “più vicino”, cioè un porto di Italia o Malta, in concreto. Il “porto sicuro” è quello ove i naufraghi possono ricevere cure e sostegno, nonché esercitare pienamente i propri diritti, ma non è definito in modo puntuale dalle convenzioni internazionali, poiché la sua individuazione dipende da una serie di circostanze: tuttavia, lo si suole individuare con il luogo ove le persone soccorse possono essere assistite a terra nel tempo più breve possibile. La rotazione dei porti potrebbe dare luogo a future strumentalizzazioni, specie da parte di governanti i quali si rifiutino di accogliere imbarcazioni con naufraghi stranieri a bordo, sostenendo che il porto tenuto all’accoglienza non è necessariamente quello più vicino: ed è un film già visto.

Un’ultima notazione, sempre con riguardo al “porto sicuro”, ma per profili diversi. Da quanto riportano i giornali, la bozza di accordo prevederebbe di “non ostacolare le operazioni delle guardie costiere, inclusa quella libica”: è noto che quest’ultima, quando intercetta migranti in mare, interviene per riportarli in uno di quei porti che Unione europea, Corte Penale Internazionale, UNHCR ecc. hanno riconosciuto come non sicuri, a causa del conflitto civile in atto e delle condizioni in cui versano le persone nei centri di detenzione. Quindi, da un lato, le navi di soccorso legittimamente non sbarcano i naufraghi nei porti libici perché non sicuri; dall’altro lato, le operazioni della guardia costiera libica, che portano i naufraghi in quei porti, non devono essere ostacolate; e il ministro dell’Interno italiano ha dichiarato che “gli accordi con la Libia li teniamo in piedi, la guardia costiera libica sta facendo un buon lavoro”. Qualcosa non torna.

Si verificherà come l’intesa sarà implementata in concreto. Restano i dubbi sopra evidenziati: il miglioramento del clima in tema di immigrazione non comporta che il senso critico venga meno.

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