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Migranti, dl Paesi sicuri rinviato alla Corte di giustizia europea: cosa succede ora

Ieri il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte Ue il decreto sui Paesi sicuri, con cui il governo punta a blindare il piano Albania. Ora dunque, spetterà ai giudici europei chiarire i criteri per cui uno Stato è sicuro e se il diritto comunitario prevale su quello nazionale.
A cura di Giulia Casula
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Ieri il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia europea il decreto sui Paesi sicuri, varato dopo la decisione dei giudici di Roma di non convalidare il trasferimento dei migranti in Albania.

Nel dl viene aggiornata la lista dei Paesi considerati in condizioni di sicurezza, riducendoli da 22 a 19 rispetto all'elenco originario. Con il provvedimento, che ha la medesima "forza" di una legge ordinaria, l'idea è quella di aggirare la sentenza dei giudici europei sulla nozione di "Paese sicuro" e riuscire così a continuare ad applicare l'accordo con Tirana.

Per l'Ue infatti, non è possibile parlare di Stato sicuro se in alcune porzioni del suo territorio esistono situazioni di pericolo o se alcune minoranze vengono perseguitate. Il che porterebbe a dubitare della sicurezza di diversi tra i Paesi inseriti nell'elenco approvato da Palazzo Chigi.

Ed è proprio a seguito del ricorso promosso da un richiedente asilo proveniente da uno di questi Paesi, il Bangladesh, che i magistrati bolognesi hanno scelto di sottoporre il decreto legge al giudizio della Corte europea. Nel caso specifico, il cittadino aveva impugnato il provvedimento con cui la Commissione territoriale gli aveva negato la protezione internazionale, per via della sua provenienza da un Paese "sicuro".

Il motivo che ha spinto i giudici a ricorrere allo strumento del "rinvio pregiudiziale" alla Corte Ue è la necessità di chiarire i criteri con cui stabilire la sicurezza di Paese e cosa debbano far prevalere, tra le norme europee e quelle nazionali, quando si trovano a dover convalidare dei trattenimenti di persone migranti.

Ora dunque, spetterà alla Corte europea pronunciarsi sulla questione e fugare ogni dubbio sull'interpretazione del diritto europeo e sulla portata della sentenza della Cgue, vincolante per tutti gli Stati membri. Quello del rinvio infatti, è un modo con cui la giurisdizione nazionale può interrogare l'Ue in caso di contrasto tra le norme comunitarie e quelle interne, chiedendo di chiarire la validità dei regolamenti europei.

La sentenze dei magistrati europei, al cui rispetto saranno vincolati i 27 Paesi Ue, potrebbe rivelarsi decisiva e mettere in crisi i piani del governo Meloni in materia di immigrazione. I giudici infatti, potrebbero stabilire che le norme Ue prevalgono sul decreto, che verrebbe così disapplicato dai Tribunali nazionali.

Un'ipotesi che di certo non piace alla maggioranza, in particolare a Matteo Salvini che oggi si è scagliato contro la decisione di Bologna definendola "anti-italiana". "Se qualche giudice – per fortuna solo una piccola minoranza – si sente comunista, si tolga la toga e si candidi alle elezioni, ma lasci che il governo e la politica portino avanti il programma scelto democraticamente dai cittadini. Tra cinquantuno giorni saprò se sarò colpevole o assolto per aver difeso i confini: sempre più orgoglioso di averlo fatto, da ministro e da italiano che ha a cuore la sicurezza del suo Paese", ha scritto su X il leader della Lega.

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