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Migranti, cosa è il ‘No Way’ australiano che Salvini vuole in Italia

In un video su Facebook ieri Matteo Salvini ha detto di volersi ispirare all’Australia: “Il mio obiettivo è il ‘No way’ Nessun migrante soccorso in mare mette piede in Australia”. Ma in cosa consiste l’iniziativa lanciata nel 2013 da Canberra?
A cura di Annalisa Cangemi
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Sulle politiche migratorie il modello che Matteo Salvini intende applicare è quello australiano del ‘No Way': "Il mio obiettivo è il ‘No way' australianoNessun migrante soccorso in mare mette piede in Australia", ha detto ieri il ministro degli Interni, parlando del caso della nave Diciotti, ferma a Catania da tre giorni con 150 profughi a bordo, che il Viminale non intende far sbarcare. Ma di cosa stiamo parlando?

La linea dura di Canberra, che prende il nome di ‘Sovereign Borders', che letteralmente significa ‘sovranità dei confini', è un'iniziativa lanciata nel settembre 2013 dall'allora premier conservatore Tony Abbott. Come spiega anche The Post Internazionale l'operazione a cui si ispira Salvini prevede un dispiegamento di forze militari per sorvegliare le coste e impedire a qualsiasi imbarcazione di avvicinarsi. Sostanzialmente nessun migrante può entrare in territorio australiano via mare. Lo slogan della campagna del governo è appunto riassunto nelle due semplici parole ‘No Way', un messaggio che non lascia spazio a fraintendimenti. il generale Angus Campbell, il comandante dell'operazione, è anche il suo principale testimonial: "Non ci si può stabilire in Australia arrivando illegalmente via mare. Non pensate di fare dell'Australia casa vostra". In Australia vige la ‘Pacific Solution', una legislazione molto severa in tema di immigrazione: tutte le persone, a prescindere dall'età, a cui non venga riconosciuto lo status di rifugiato politico sono respinti o deportati nei centri di detenzione delle isole di Manu, in Papa Nuova Guinea e nello Stato australiano di Nauru. Come ha scritto anche il Corriere della Sera, questi campi di detenzione sono stati spesso oggetto d'indagine da parte dell'Onu e di Amnesty International, che hanno puntato il dito contro le violazioni dei diritti umani. Queste strutture, che secondo i proclami iniziali dovevano essere alloggi ospitali, sono vere e proprie prigioni, nelle quali persone provenienti da Iran, Iraq, Sri Lanka e Afghanistan vivono in spazi ristretti e in condizioni difficili.

Analizzando i dati di partenza, come ha fatto Formiche.net, nel 2013, prima che partisse l'operazione, c'erano stati 37 sbarchi illegali sulle coste dell’Australia. Dal luglio 2014 a oggi, gli sbarchi illegali si sono ridotti a zero.

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