Meloni dopo due anni di governo rivendica “record storici” su occupazione e sanità: cosa c’è di vero
"Non mi sono mai risparmiata", "sono soddisfatta dei risultati e dei traguardi che in questi due anni abbiamo raggiunto per l'Italia". Sono queste le parole con cui Giorgia Meloni ha aperto il suo video diffuso sui social per celebrare i due anni dall'inizio del suo governo, entrato ufficialmente in carica il 22 ottobre 2022. L'esecutivo, ha detto Meloni, ha "lavorato instancabilmente per attuare il programma con cui ci eravamo presentati di fronte agli italiani". Poi ha iniziato a elencare i risultati che rivendica, parlando in alcuni casi di "record storici" sull'occupazione, oltre al finanziamento più alto di sempre sulla sanità.
Davvero il governo ha portato crescita economica e difeso il potere d'acquisto?
Dalla "nuova centralità sulla scena internazionale" alla "crescita economica", Meloni è partita con affermazioni difficili da dimostrare oppure discutibili. Se per "crescita economica", ad esempio, si intende quella del Pil, va sottolineato che quest'anno l'aumento sarà piuttosto ridotto, meno anche di quanto aveva previsto pochi mesi fa il governo.
La presidente del Consiglio ha detto di aver "protetto il nostro tessuto produttivo industriale dagli effetti della crisi energetica e dalle sfide geopolitiche", e di aver "avviato riforme che erano attese da decenni in questa nazione", forse riferendosi alla riforma fiscale, oppure a iniziative come il premierato e l'autonomia differenziata delle Regioni. Ma anche di aver "messo in sicurezza i conti dello Stato" – anche in questo caso, un'espressione piuttosto generica e legata soprattutto ai nuovi obblighi imposti dal Patto di stabilità europeo – e "difeso il potere d'acquisto delle famiglie", che però è sceso e secondo i critici della manovra continuerà a calare nei prossimi anni.
Il primo "record storico": l'occupazione
Sono soprattutto due le affermazioni su cui la presidente del Consiglio ha usato parole nette. Ha parlato di "record storici" sull'occupazione, ad esempio: "Mai così tanti posti di lavoro, mai così tanti posti di lavoro stabile, mai così tanti contratti a tempo indeterminato, mai così tante donne che lavorano".
Andando per ordine: è vero che l'Italia abbia raggiunto un numero record di occupati, come ha certificato Istat. La ripresa dell'occupazione è iniziata dopo la pandemia, soprattutto dalla seconda metà del 2021, e da allora è andata avanti a ritmo piuttosto costante con il governo Draghi e il governo Meloni.
È anche vero che nell'ultimo anno l'aumento dell'occupazione ha riguardato soprattutto la fascia d'età 50-64 anni, mentre per i giovani è cresciuta sì l'occupazione, ma è salita molto di più l'inattività, cioè la percentuale di under 35 che smettono di cercare lavoro. L'aumento degli inattivi, peraltro, è un trend che riguarda tutte le fasce di età, e che è iniziato a fine 2023, dopo quasi tre anni di calo.
Qual è la situazione dell'occupazione femminile in Italia
L'ultimo aggiornamento di Istat sul tema dell'occupazione riguarda il mese di agosto. E il rapporto conferma anche che nell'ultimo anno sono aumentati i dipendenti a tempo indeterminato, mentre sono diminuiti quelli a tempo determinato.
Da questo punto di vista, quindi, le parole di Meloni sono corrette. Anche se ignorano, come in precedenza, un aspetto importante come quello degli stipendi. Sempre Istat, parlando della povertà in aumento, ha ribadito pochi giorni fa che l'aumento dell'occupazione non è bastato a fermare la crescita delle famiglie che vivono in povertà assoluta. In molti casi, infatti, anche chi lavora è a rischio povertà. Un segnale che l'aumento dell'occupazione non è l'unico criterio da tenere in considerazione.
Infine, la presidente del Consiglio ha parlato di record nell'occupazione femminile. Anche in questo caso, i dati sono piuttosto chiari. Il tasso di occupazione è effettivamente aumentato (+0,9% ad agosto rispetto a un anno prima, con 238mila donne in più al lavoro e 226mila disoccupate in meno, pur tenendo conto di 92mila inattive in più).
Bisogna comunque tenere a mente che l'occupazione femminile in Italia (53,5%) è tra le più basse in Europa, e ben lontana dalla media Ue (oltre il 65%). E che quest'anno il rapporto Global gender gap compilato dal World economic forum ha registrato che per le donne, in Italia, a livello di partecipazione economica e opportunità lavorative, la situazione è pessima: siamo ancora al 111esimo posto a livello mondiale, e in Europa siamo davanti solamente alla Turchia.
La rivendicazione sui fondi alla sanità che ignora le polemiche
Infine, Meloni ha parlato di risorse pubbliche destinate alla sanità: "Abbiamo destinato alla sanità un livello di risorse che mai nessun governo aveva destinato in precedenza", ha affermato. In questo caso, le parole della presidente del Consiglio sono vere solo in parte.
Come abbiamo già spiegato in modo più approfondito, ci sono molti modi per misurare quanti soldi pubblici si danno alla sanità. Quello a cui si riferisce la leader di Fratelli d'Italia è il più semplice: la quantità di miliardi di euro stanziati nel Fondo sanitario. Questa però aumenta quasi sempre di anno in anno. Quindi dire che si tratta di una "cifra record" è vero ma significa poco: lo era anche l'anno scorso, e quello precedente, e in quasi tutti gli ultimi dieci anni, anche prima della pandemia.
Un altro modo per capire quanti soldi vengono assegnati alla sanità è misurare la quantità di euro in percentuale del Pil. In questo caso, per il 2025 si parla del 6,3% del Pil italiano. Una soglia piuttosto bassa, che molti nel settore – e anche il ministro della Salute – hanno chiesto più volte di alzare. E che invece il governo prevede di abbassare: scenderà al 6,2% a partire dal 2026.
Infine, Meloni rivendicato un livello di risorse così alto ha ignorato le contestazioni, che hanno criticato soprattutto una scelta del governo: con la nuova legge di bilancio, per quanto è stato reso noto finora, l'anno prossimo i fondi per la sanità aumenteranno solo di 880 milioni di euro circa, rispetto a quanto era già previsto. Una somma decisamente ridotta, che non basterà per fare fronte alla crisi del Servizio sanitario nazionale.