Meloni dice che con De Luca si è solo difesa
"Ieri a Caivano io mi sono banalmente difesa", lo ha detto Giorgia Meloni commentando il suo incontro avvenuto ieri con il presidente della Campania, Vincenzo De Luca. Recatasi a Caivano per l'inaugurazione del centro sportivo a Parco Verde, la premier aveva salutato così il governatore: "Sono quella stronza della Meloni, come sta?". Secondo la premier, "De Luca non ha mai usato le parole che ha usato contro di me con nessun altro. Quindi, il messaggio è che si possono insultare le donne perché sono deboli? I bulli sono deboli, che sono bravi a fare i gradassi da dietro le spalle", ha ribadito.
Meloni ha anche raccontato che qualche mese fa, a febbraio chiese alla segretaria del Pd Elly Schlein di commentare il video che pizzicava il governatore campano definirla "stronza" durante un discorso informale in ‘Transatlantico". Per la premier, Schlein "non ne ebbe il coraggio. La sinistra non ha detto mezza parola sull'insulto rivoltomi da De Luca e commentando quanto avvenuto ieri, dimostra di avere due pesi e due misure", ha aggiunto. "Continuo a tifare perché Schlein tiri fuori il coraggio che la gente si aspetta da lei come leader e come donna".
Non si è fatta attendere la risposta della leader dem: "Giorgia Meloni si rivolge a me dicendo “è finito il tempo in cui le donne devono subire”. Come non essere d'accordo. Peccato che le donne subiscano ogni giorno le scelte del suo governo e della sua maggioranza", ha attaccato Schlein. "Come quella di far entrare gli antiabortisti nei consultori a fare pressioni violente sulle donne e le ragazze che vogliono accedere all’interruzione volontaria di gravidanza. Come i tagli che lei sta facendo sulle pensioni delle donne, sulla sanità pubblica e sul welfare che sa benissimo che vuol dire lasciare il carico di cura sulle spalle delle famiglie e soprattutto sulle spalle delle donne, frenandole nel lavoro e nell’impresa. Le donne che subiscono ogni giorno discriminazione di genere non se ne fanno nulla delle sue ripicche personali", ha concluso.
La riforma della giustizia "non è una vendetta", dice Meloni
"La riforma della giustizia darà valore ai magistrati, ai quali verrà riconosciuto valore indipendentemente che si iscrivano o meno a una corrente politica". Lo ha detto Giorgia Meloni riguardo al disegno di legge costituzionale approvato oggi dal Consiglio dei ministri e che prevede, tra le altre cose, la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti.
"Io non capisco perché si possa considerare una riforma del genere punitiva nei confronti dei pubblici ministeri e considero ancora più bizzarra la dichiarazione per la quale dovrebbe essere una vendetta, perché uno si vendica di qualcuno che gli ha fatto qualcosa di male. Si vendica di un nemico. Ora, io non considero la magistratura mia nemica e chiedo a chi ha fatto questa dichiarazione di dirmi se considera il Governo suo nemico", ha detto Meloni intervenendo a CorriereTv. "Io non sono per lasciare le cose che non funzionano come stanno, non ho paura di chi vorrà combattermi per mantenere lo status quo e non sto qui a scaldare la sedia".
Per Meloni, "l'Ue non è un club. Le Pen? Sta facendo un percorso interessante"
"Non sono d'accordo con chi considera l'Unione europea un club in cui si entra in base alle simpatie", ha detto Meloni. "Il modello basato sulla sussidiarietà non è contro l'Europa perché gli permetterebbe di tornare a essere un gigante politico. Chi nell'Europa lavora per dividerla, fa un errore strategico fondamentale".
La premier è poi tornata sulle alleanze che si formeranno una volta eletto il Parlamento europeo e in particolare sul suo rapporto con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, ora in corsa per il suo secondo mandato come candidata dai Popolari. "Pur non condividendo diverse scelte prese dalla Commissione, il mio lavoro era cambiare le cose, cercare un'interlocuzione con lei e portare a casa i risultati", ha spiegato. "Sono sempre dalla parte dell'Italia, ma nessuno lo capisce".
"Bisogna partire dalla maggioranza, non bisogna partire dal candidato. Se si parte dal candidato è per tentare di ricostruire il sistema dell'inciucione, della maggioranza arcobaleno, dello ‘stiamo tutti insieme, vediamo che succede'. Io non sono d'accordo con quel meccanismo", ha aggiunto. "Quindi provo a costruire una maggioranza differente e, se ci sarà una maggioranza differente, poi parleremo anche del presidente della Commissione". Rispetto all'ipotesi che possa essere un italiano – Mario Draghi, Enrico Letta o Antonio Tajani sono alcuni dei nomi più volte tirati in ballo in questi mesi – Meloni ha commentato:"Anche queste sono ricostruzioni un po' curiose. A me fa sempre sorridere che si pensi di poter decidere chi farà cosa prima chei cittadini abbiano votato. Il ruolo che avrà l'Italia nella definizione della prossima Commissione europea dipende dai risultati delle nostre elezioni, soprattutto della forza che avrebbe il governo, ovviamente, e di quello che accadrà negli altri Paesi".
Su una possibile convergenza con Marine Le Pen, leader di Rassemblement National, partito che aderisce al gruppo dell'estrema destra europea Identità e Democrazia, Meloni ha detto: "Le Pen, secondo me, sta facendo un percorso interessante e in questa legislatura ci sono stati momenti in cui su alcuni dossier ci siamo trovati sullo stesso fronte. Non faccio la cheerleader di nessuno ma sono sempre dalla parte dell'Italia", ha ribadito.
Premierato: "rafforzerebbe la politica e darebbe benefici a tutti"
La riforma del premierato "rafforzerebbe il luogo della politica, che in questi anni è stata debole e ne beneficerebbe chiunque vincesse le elezioni, anche l'opposizione", ha dichiarato la premier ha proposito di un'altro progetto di riforma costituzionale voluto dal suo governo, quello sull'elezione diretta del premier. "Risolverebbe una falla nel sistema e non annullerebbe il ruolo di garante della Costituzione del presidente della Repubblica", ha aggiunto.
"La libertà del Presidente della Repubblica nello scegliere il Governo in realtà non è prevista dalla nostra Costituzione, salvo un caso. Quando il sistema non funziona, cioè quando le forze politiche non sono in grado di esprimere una maggioranza", ha proseguito. "Allora il Presidente della Repubblica è costretto a un ruolo di supplenza per una falla che esiste nel sistema, che non gli sarebbe chiaramente proprio e non gli è neanche congeniale per il ruolo, perché è evidente che quando il Presidente della Repubblica deve fare una scelta del genere comunque scende nell'agone della politica. Deve schierarsi in qualche maniera e questo non aiuta la sua funzione di garanzia di tutti gli italiani perché, per forza di cose si finisce nel dibattito della politica", ha concluso.