Ha solo la fortuna di essere nato in Italia, Matteo Salvini. Ma non è davvero un italiano. No, non può far parte di quel Paese che nonostante i tanti problemi mi rende orgoglioso per la sua generosità, la sua genialità, la sua passione, la sua comprensione, la sua umanità. Salvini va in piazza per dire ai ragazzi della Marina Militare: «Gli immigrati riportateli a casa, basta sbarchi»? E pensa se questo discorso l'avessero fatto negli anni Venti, Trenta, negli anni Cinquanta, gli americani quando migliaia di italiani sbarcavano a Ellis Island, New York, porta d'accesso verso il Nuovo Mondo. Poi continua: «Se entri a casa mia in piedi sai che puoi uscirne steso, cambieremo la legge sul porto d'armi». Ma parla un leader politico che punta al consenso nazionale o un lobbista di una azienda produttrice d'armi da fuoco desideroso di allargare il suo terreno di conquista? Perfino negli States l‘argomento del possesso d'armi è da tempo ormai oggetto di revisioni e polemiche. E lui vorrebbe far cosa? Riempire le case dei cumenda e delle sciure di fucili a pompa? Che facciamo, "Una 44 Magnum per il signor Brambilla"? E ancora: «Nella nostra Italia non c'è spazio per i campi rom», dice il leghista. Che immagina dunque un Paese fuori dall'Europa, fuori dall'Occidente, dove i campi rom, normati, controllati, monitorati, sono universalmente accettati. Quest'altra l'avete sicuramente sentita: «La prostituzione c'è da duemila anni. O fai finta di niente o la togli dalla strada, la regolamenti e la tassi», dice ancora. In questo caso invece il "legalismo" va a farsi benedire: lo sfruttamento non c'è più, le puttane, si sa, sono puttane.
Dio mio, ma qual è la visione del Paese del leader leghista? Io immagino che nella sua testa ci sia una idea di strade deserte e ordinate percorse da bianchi caucasici armati che fanno ronde nella notte alla ricerca di puttane irregolari (ci saranno poi quelle regolarmente registrate e tassate, da pagare con la vecchia lira, visto che manco l'euro vuole, Salvini). Più che un programma di governo, il suo sembra un copia incolla degli status di Facebook che hanno ricevuto più like. Non è una idea di Paese, è una corsa al "like", quella dell'altro Matteo. Che per ora fa comodo a Renzi, contento che la Lega tolga consensi a Grillo e al centrodestra. Ma che, alla lunga, risulta dannoso.