La nuova legislatura parte con la nomina di Roberto Fico alla Camera dei deputati e di Elisabetta Casellati al Senato della Repubblica. Ma soprattutto parte con la prima dimostrazione concreta di cosa è accaduto il 4 marzo 2018: la fine di un ciclo politico ultraventennale fondato sul dualismo fra berlusconiani e antiberlusconiani. Berlusconi non conta più, il totem è caduto, il vecchio gruppo dirigente forzista ha perso il controllo persino delle manovrine di palazzo, arte tanto cara sia a Palazzo Grazioli che al Nazareno, dove si sono nascosti gli altri sconfitti delle politiche di marzo.
Silvio Berlusconi, furioso dopo lo strappo di Salvini, mette una fedelissima a Palazzo Madama, limitando i danni dello schiaffo preso ieri, ma senza poter più nascondere che il centrodestra non esiste se non a trazione leghista. Con le spalle al muro dopo la mossa Bernini, il Cavaliere si è accorto di non poter contare che su una piccola pattuglia di "amici", con il resto di parlamentari e dirigenti, anche locali, già pronti a saltare sul Carroccio. E di avere in mano solo una pistola a salve: la minaccia poco credibile di far saltare la Giunta in Lombardia o di causare problemi in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Liguria. Ha ceduto, forse togliendosi lo sfizio di silurare Fraccaro, fedelissimo della coppia Di Maio – Casaleggio, regalando una grana in più ai 5 Stelle con l'elezione alla Camera di Roberto Fico, che impersonifica sì il MoVimento, ma quello delle origini, non quello "istituzionalizzato".
Matteo Salvini ha liquidato una questione che stava diventando complicata con una mossa unilaterale, avendo poi l'accortezza di presentarla come "scelta di buonsenso, grazie ai passi giusti" per non infierire sull'alleato di cui probabilmente non ha più bisogno. È riuscito a farlo non solo perché ha potuto sfruttare lo sfarinamento del gruppo dirigente forzista, ma anche perché non ha alcuna paura di far crollare tutto, di accelerare la crisi del sistema e riportare il Paese a nuove elezioni in tempi brevissimi. Se anche si andasse al voto subito, infatti, la Lega fagociterebbe i voti di Forza Italia, non solo al Nord, ma anche al Sud. A furia di sottovalutare Salvini, infatti, in pochi si sono accorti che il processo di lepenizzazione della Lega, volto cioè alla trasformazione in forza nazionalista e sovranista di chiara impronta populista, era la testa di ponte per la creazione di una nuova formazione politica, in grado di essere egemone a destra e raccogliere tanto i voti moderati in uscita da FI che quelli dei "nuovi indignati". La "radicalizzazione populista" di centinaia di migliaia di cittadini rischiava di essere tanto rapida quanto effimera: Salvini lo ha capito prima degli altri e ha costruito un contenitore in rado di raccogliere e strutturare questo tipo di consenso.
E il modo in cui Salvini ha raccontato questa vicenda delle nomine parlamentari è emblematico: il rifiuto delle lungaggini della politica, in virtù della logica del fare, dell'andare avanti, del "pensare ai problemi concreti". È del tutto in linea con l'immagine che si è costruito, così diversa dall'affabulatore che incanta le folle con la retorica o disegnando idiallici panorami. Ne scrivevamo qualche giorno fa, sottolineando come Salvini interpretasse una certa "stanchezza" verso il sistema: "Si impone l'idea che più un politico sia sincero, schietto e diretto più sia meritevole di fiducia. Ma ancora: più un politico parla col nostro stesso linguaggio, coi nostri tempi e nel nostro orizzonte, tanto più lo sentiamo vicino, lo riconosciamo come "uno di noi", uno cui affidare non tanto le chiavi di casa, quanto la nostra rabbia, la nostra indignazione".
La stanchezza nei confronti di Silvio Berlusconi, dunque. Degli elettori e finanche del "suo" popolo. Ma anche di una classe politica che il Cavaliere ha formato, cresciuto e nutrito. E che ora sta cercando di restare a galla, disperatamente. Salvini offre la sua soluzione: seguitemi perché fra qualche mese il quadro politico sarà quello di un nuovo bipolarismo, noi contro i 5 Stelle. Berlusconi, al momento, non ha nulla da offrire: né una leadership, né una prospettiva, né degli alleati.