È un grande comunicatore, piace a destra e a sinistra, è riuscito a mobilitare anche i vecchi elettori del Pd. E poi, ci sono gli 80 euro in busta paga. Dall'esito delle elezioni europee del 25 maggio abbiamo assistito a una carrellata di motivi a giustificare la vittoria di Matteo Renzi, e il suo distacco: 41% contro, il 21% del Movimento 5 Stelle e il 17% di Forza Italia.
Di chi dobbiamo fidarci?
L'istituto Ipsos indica tre flussi elettorali principali: da Scelta Civica al Pd, dal M5S all'astensionismo, dai partiti dell'ex Pdl all'astensionismo. Il merito del Pd sembra essere stato proprio resistere all'astensionismo, in una tornata elettorale che ha registrato un 42.8% di elettori che non si sono recati alle urne. Contrariamente a quanto sostenuto da molti, gli elettori di Grillo non sono andati a votare Renzi.
Eppure, ci sono dei dati importanti da considerare. Il Pd incrementa i voti nelle regioni rosse (Toscana, Umbria, Emilia Romagna). Ma fa il pieno di consensi anche nel Nord Est dell'impresa, dove una volta si votava Berlusconi e più di recente il M5S. In tutto il Nord Est il Pd realizza il 39% dei consensi, in Veneto arriva al 37.5%, contro il 14.7% di Forza Italia e il 15.2% della Lega. Sempre nel Nord Est il M5S perde tanto, come mostra il grafico di Ipsos.
Che significa?
Giorgio Squinzi non ha dubbi: “Sulla scheda uscita dall’urna c’è scritto fate le riforme. Non deludeteci”. Poche ore dopo il voto che incoronava Matteo Renzi il presidente di Confindustria già tirava il guinzaglio all'esecutivo. Il perché ce lo spiega Desmopolis, in questo grafico. Renzi ha fatto il pieno di consensi fra imprenditori e lavoratori autonomi (partite Iva): 33% contro il 13% delle politiche del Pd di Bersani. E fra gli autonomi il Pd viene superato solo dal M5S – più volte indicato come il nuovo referente della categoria – di soli 2 punti percentuali.
Perché imprenditori e partite Iva, perché il Nord-Est delle imprese che chiudono ha votato Matteo Renzi? Per fare le riforme, dice Squinzi. Forse. È vero che il voto delle europee è stato influenzato dal dibattito politico italiano, è vero che Renzi ha promesso, fra le tante, 80 euro anche alle partite Iva. Ma sono solo promesse? Tutt'altro: il governo Renzi ha fatto per le imprese, in soli due mesi, molto più di quanto i suoi predecessori abbiano fatto in un anno.
Cosa ha fatto Matteo Renzi per le imprese?
Ha tagliato l'Irap del 10% per il 2015, taglio presente anche nel 2014 ma dimezzato. Ha cancellato il Durc, il documento di regolarità contributiva per le imprese, e così l'iscrizione alla camera di commercio. Ha introdotto uno sconto dell'energia del 10% per le piccole e medie imprese. Ha destinato 500 milioni di fondi per la costituzione di imprese sociali, le cooperative tanto care al ministro Poletti. Ha promesso più volte di resitituire, almeno in parte, i 68 miliardi di debiti della pubblica amministrazione con le imprese. Il Def ha fissato a ottobre la restituzione dei primi 13 miliardi.
Poi, i contratti. Col decreto lavoro Matteo Renzi ha liberalizzato, rendendo meno “rischiosi” per le aziende, i contratti determinati e di apprendistato. Niente più obblighi di assunzione, i determinati possono essere rinnovati 5 volte fino ad arrivare a 3 anni senza causale, cioè senza che il datore di lavoro debba specificarne le ragioni. I contratti precarissimi, poi, i co.co.pro. e le false partite Iva, rimangono come sono. E si estendono i voucher a tutti i settori. Il prossimo passo, affermano dal governo, sarà la semplificazione del codice del lavoro.
Tutto questo in cambio – 80 euro a parte – di nulla sul piano dei lavoratori. Perché i nuovi ammortizzatori sociali e il salario minimo sono nel disegno di legge delega all'esame del Senato. E l'esecutivo ha più volte manifestato l'intenzione di cancellare del tutto la cassa integrazione in deroga, a favore di sussidi “universali” che forse tanto universali non saranno, includendo unicamente i co.co.co, 60mila in tutta Italia. Forse i co.co.pro, 650mila soggetti.
Cosa vogliono ancora?
Il mondo dell'impresa ha capito che in Matteo Renzi ha il suo più grande referente politico. Che nel ministro del lavoro Poletti, che sui limiti ai contratti a tempo parlava di “norme tortura” per le aziende, ha un alleato. E ora chiedono di più: “Legare i salari ai risultati aziendali”, dice Giorgio Squinzi. “Privilegiare la natura dei salari, piuttosto che la loro fonte e consentire di decontribuire e detassare quello di produttività". Poi: "Semplificare e migliorare la disciplina del contratto a tempo indeterminato, rendendolo più conveniente e attrattivo per le imprese", senza doversi inventare un nuovo contratto a tutele crescenti.
Ha risposto il ministro dello sviluppo Federica Guidi (ex vicepresidente di Confindustria): “Non più tardi del 20 giugno [faremo] un pacchetto normativo che includerà misure a favore del rafforzamento patrimoniale delle imprese". Insomma, la strada per le norme chieste dalle imprese sembra spianata. Hanno detto più volte dell'esecutivo: “Ora le imprese non hanno più scuse per non assumere”. Lo faranno? Non si sa. Quello che sappiamo è che, come dice Squinzi, la clausola sul voto a Renzi è una: fate le riforme. Quelle gradite a Confindustria, s'intende.